venerdì 4 luglio 2014

Il piano della Madia per mettere le mani sui tesoretti delle Camere di Commercio

A chi convenga realmente ancora non è chiaro a nessuno. Neanche a chi sta studiando da settimane il dossier. Ma nei corridoi della Funzione pubblica e del ministero dello Sviluppo continuano a circolare bozze di provvedimenti che puntano a smantellare il sistema Camerale. Matteo Renzi aveva assicurato inizialmente che le Camere di Commercio, come le prefetture, non si riformano per decreto. Intanto, però, la prima bastonata è arrivata proprio nel dl sulla Pa ora in discussione alla Camera, dove si prevede un taglio secco del 50% dei cosiddetti diritti camerali, ovvero le quote che le imprese pagano alle Camere di Commercio per avere accesso ad una lista sterminata di servizi. Dal registro delle imprese alle certificazioni per il commercio estero, dalla tutela delle filiere al sistema dei confidi, dalle certificaioni agroalimentari alle analisi merceologiche, dalla metrologia ai protesti cambiari. Non c’è aspetto della vita di un’impresa che non rientri nel perimetro dei servizi offerti dalla rete delle Camere di Commercio disseminata sul territorio italiano.

A che prezzo? Tenetevi alla sedia, perché la cifra è forte: la media del contributo versato dalle aziende al sistema Camerale è di 110 euro l’anno. Uno spreco, secondo il governo, che ha deciso di tagliare il diritto a 55 euro. Lo Stato non guadagnerà neanche un centesimo, considerato che gli enti si autofinanziano interamente. Le imprese avranno ciascuna in media 55 euro in più da spendere all’anno. Che dovranno probabilmente utilizzare, con una robusta aggiunta, per sopperire in altra maniera alle funzioni svolte dalle Camere di Commercio.
L’intero sistema, infatti, dal 2015 perderà circa 400 milioni. E difficilmente potra tenere in piedi tutte le attuali strutture, considerato ad esempio che 70 milioni se ne vanno solo per finanziare il sistema dei confidi, vitale per la maggior parte delle Pmi. Senza contare quello che potrebbe accadere al Sud, dove molti enti possono funzionare solo grazie al fondo di perequazione che drena risorse dalle regioni più ricche a quelle più povere.

In questa prospettiva, c’è anche chi, come Raffaello Vignali (Ncd), per combattere il dimezzamento delle risorse proporrà un criterio rigorosamente federalista. Una provocazione, ovviamente, «ma se il governo insiste con il taglio del 50% chiedero che ogni Camera tenga per se i suoi contributi, poi vediamo che succede».
Ma non è tutto. Nei ministeri, infatti, c’è chi sta studiando riforme ancora più drastiche. Alla Funzione pubblica e al ministero dello Sviluppo si lavora ad una sorta di esproprio del patrimonio delle Camere di Commercio. La linea è sempre quella della razionalizzazione. Ma c’è chi assicura che a far gola al governo sono le circa 500 partecipazioni detenute dal sistema nelle infrastrutture (con quasi 700 milioni di capitale investito). Di cui una buona fetta (109 di cui 71 nel sistema fieristico, 38 nei mercati agroalimentari) nelle infrastrutture di supporto all’economia e circa 350 nei trasporti (30 porti, 95 aeroporti, 96 strade, 49 intermodalità, 73 sviluppo del territorio), dove spiccano anche nomi importanti come la Brebemi, la Serenissima, l’Autostrada del Brennero, gli aeroporti di Firenze, Bologna, Catania, Cagliari.
Non è chiaro se le novità arriveranno con un emendamento al dl o nella legge delega, che nessuno ha visto. «Si tratta di un percorso molto difficile da comprendere e condividere», ha denunciato ieri Rete Imprese. Contrario pure Vignali: «Credo che prima del taglio si debba procedere al riordino. E non viceversa».

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