giovedì 10 maggio 2012

Lo spread a 430. E il premier corre alla festa dell'euro

L'Europa crolla. E Monti la festeggia. È una coincidenza, considerato che il 9 maggio è l'anniversario della dichiarazione del 1950 dell'allora ministro degli Esteri francese, Robert Schumann, che gettò le fondamenta della futura Unione. Ma vedere il premier che si presenta alla kermesse di Firenze per celebrare l'euro proprio mentre gli indici dei mercati finanziari del Vecchio continente consegnano l'ennesimo bollettino di guerra fa un certo effetto.

Ieri, con l'eccezione di Francoforte, tutte le Borse europee hanno chiuso in rosso per il secondo giorno di fila, con gli spread di Italia e Spagna ormai ampiamente sopra la soglia di guardia. Il differenziale tra il Btp decennale e l'analogo bund tedesco ha archiviato la seduta in fortissimo rialzo, chiudendo a 428 punti, praticamente ai livelli record di gennaio, mentre Piazza Affari è scivolata dell'1,18%. La forbice tra i titoli iberici e quelli tedeschi si è invece allargata a 456 punti, ai massimi da novembre, con la Borsa di Madrid maglia nera del Vecchio continente scesa ai minimi dal 2003. Di contro, i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi sono crollati sotto la soglia dell'1,5%.

A scuotere il mercato spagnolo sono le voci sempre più insistenti di una nazionalizzazione di Bankia, terzo istituto di credito del Paese. Secondo uno studio di Rbs, inoltre, le sette principali banche spagnole hanno bisogno di altri 68 miliardi di capitale aggiuntivo per compensare i prestiti in sofferenza e soddisfare i requisiti di patrimonio. Ma a spaventare l'Europa sono più che altro le notizie che arrivano da Atene. In serata l'Efsf (il fondo salva Stati) ha confermato, sgombrando il campo dalle indiscrezione circolate per tutta la giornata, che oggi sarà regolarmente erogata la tranche da 4,2 miliardi del prestito accordato alla Grecia. La somma restante, pari a un miliardo, sarà versata in funzione del fabbisogno del Paese. L'ipotesi di un'uscita di Atene dall'euro dopo il terremoto elettorale che ha travolto i partiti tradizionali diventa però sempre più concreta. «Se la Grecia decide di non restare nell'EUrozona, non possiamo costringerla», ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, rompendo per la prima volta il tabù sull'addio alla moneta unica. «Saranno loro a decidere se restare o no».

Nelle stesse ore, a Firenze, Mario Monti discuteva allegramente di crescita e di fiscal compact con i suoi “colleghi” europei, dal presidente della Commissione, Josè Manuel Barroso, ai commissari agli Affari economici, Olli Rhen, e al Mercato interno, Michel Barnier. Il premier ha ribadito che «il governo crede nella disciplina di bilancio», ma ha insistito sulla sua proposta di escludere dai vincoli di bilancio le risorse per la crescita. L'idea, ha spiegato Monti, è che, ad esempio, «per i prossimi tre anni gli investimenti per la broad band o l'agenda digitale vengano incoraggiati perché non andranno contati ai fini del fiscal compact». Per Barroso, invece, la priorità sono i «project bond, per realizzare progetti a livello europeo e mobilitare risorse private per gli investimenti». Tutte proposte di cui si discuterà sicuramente il prossimo 23 maggio nel corso di un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo Ue. Tanto per essere chiari, però, Angela Merkel ha ribadito ieri che, crisi o non crisi, elezioni o non elezioni, il fiscal compact «funziona benissimo». E quindi non si tocca. In Europa ora la parola d'ordine, dopo lo scossone francese che ha portato Hollande all'Eliseo, è che crescita e rigore vanno di pari passo. Una favoletta ribadita negli ultimi giorni praticamente da tutti (ieri da Barroso e dalla Merkel), in barba a tasse e recessione che stanno strozzando il Continente.
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