sabato 26 maggio 2012

I dipendenti pubblici sfasciano la previdenza

Un peso complessivo sulla fiscalità generale, quindi sulle tasche dei contribuenti, di oltre 68 miliardi di euro. Con un deficit di gestione quasi esclusivamente portato in dote dai dipendenti pubblici. È questo il quadro poco incoraggiante del sistema pensionistico italiano disegnato dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale guidato dal professor Alberto Brambilla.

Il rapporto 2012, che l'organismo del ministero del Lavoro presenterà alla commissione bicamerale di controllo sugli Enti previdenziali il prossimo 30 maggio, illustra gli andamenti gestionali per gli anni 2009 e 2010 ricavati dai dati di bilancio consuntivo forniti dai gestori sia pubblici sia privati. Non tiene conto, dunque, dell'impatto delle riforme in materia previdenziale varate nel 2011, in particolare di quella messa a punto dal ministro Elsa Fornero. Impatto, si legge nel documento, che stando alle proiezioni dovrebbe produrre nei prossimi trenta anni «una significativa riduzione dell'incidenza della spesa pensionistica in termini di Pil». In attesa di vedere i risultati concreti, tenendo anche conto che le proiezioni successive al 2045 descrivono uno scenario non dissimile da quello attuale e che, secondo Brambilla, «per far sì che tutti gli sforzi nel rimodulare il sistema previdenziale e i sacrifici connessi siano efficaci occorre un vero e proprio cambio di mentalità nel Paese a tutti i livelli», la fotografia scattata nel 2010 fa una certa impressione. Il rapporto tra spesa e Pil, che dal 1997 al 2007, si è attestato intorno al 13,5% è salito al 15%. In soldoni, si tratta di 198,6 miliardi, con un incremento di 6 miliardi sul 2009. Molto meno, nello stesso periodo, sono cresciute le entrate contributive, che si sono attestate a 185,6 miliardi, con una crescita dell'1. Il risultato è un disavanzo di 13 miliardi, che corrisponde al 40% in più rispetto ai 9,3 miliardi del 2009.

Gran parte della responsabilità del deficit complessivo è da attribuirsi al settore pubblico, che da solo ha generato un disavanzo di ben 16,8 miliardi. «Il progressivo peggioramento del saldo», si legge nel rapporto del Nucleo di valutazione, «è dipeso in parte dalla continua riduzione dei lavoratori delle amministrazioni pubbliche». E fin qui c'è poco da ridire. Ma l'altra parte è dovuta «all'aumento dei trattamenti medi, cresciuti del 4,7% nel 2009 e del 2,5% nel 2010». Il risultato di questa impennata degli assegni previdenziali è che «i trattamenti medi sono più elevati di circa l'80% rispetto a quelli dei dipendenti privati».

E alla beffa si aggiunge anche il danno. Mentre per i dipendenti pubblici aumentavano le pensioni, per quelli privati, già con assegni sensibilmente più bassi, aumentavano invece i contributi. Non a caso l'insieme dei fondi dei dipendenti privati presenta nel 2009 un saldo positivo di 741 milioni di euro. Un risultato raggiunto con una «crescita dei contributi percentualmente più che doppia (7,9%) rispetto a quella delle prestazioni (3,8%). Nel 2010, sotto i colpi della crisi, anche i privati per la prima volta dopo tre anni sono scesi in territorio negativo, con un deficit di 179 milioni.

Una sorpresa positiva è quella che arriva dalle casse autonome dei liberi professionisti, negli ultimi mesi prese di mira dal governo tecnico che pretende garanzie di stabilità finanziaria proiettate sui prossimi 50 anni. Ebbene, nel 2010 il conto delle casse evidenzia un saldo previdenziale positivo di 2,7 miliardi, con una crescita dell'8,1% rispetto all'anno precedente. Un risultato ottenuto grazie ad un rapporto tra lavoratori attivi e pensionati che complessivamente si mantiene ben al di sopra delle soglie di guardia a quota 3,9 rispetto all'1,3 dell'intero sistema previdenziale obbligatorio.

© Libero