C’è chi sostiene che i mercati siano dominati dalla speculazione e tengano in scarsa considerazione i fondamentali dell’economia. Eppure, nella tempesta perfetta che si sta abbattendo sull’Italia, gli indici di Borsa e i dati macro snocciolati dall’Istat sembrano parlare esattamente la stessa lingua. Entrambi ci riportano indietro nel tempo, ai giorni più drammatici della crisi dei mutui subprime.
Con lo scivolone di ieri, Piazza Affari non solo è scesa sotto i livelli del settembre scorso, quando la tensione sui titoli di Stato e sullo spread con i Bund tedeschi era alle stelle, ma si è anche avvicinata moltissimo ai minimi raggiunti dopo il fallimento della Lehman Brothers. L’Ftse Mib ha chiuso infatti a 13.311, meno dei 13.474 del 12 settembre 2011, la giornata più difficile di quei mesi, e poco più dei 12.621 punti del 9 marzo 2009, quando l’indice toccò il record negativo. Brutti ricordi, e identici periodi, evocano anche i dati sul Pil. L’indice congiunturale nel primo trimestre 2012 (-0,8%) è infatti il peggiore dal primo trimestre del 2009, quando il calo sui tre mesi precedenti era stato addirittura del 3,5%.
Che la giornata di ieri non fosse delle migliori si è capito sin dalle prime ore del mattino, quando la Borsa ha iniziato a girare in negativo. Le notizie arrivate dalla Grecia (che probabilmente tornerà al voto), l’incertezza politica europea e i 26 downgrade di Moody’s piombati nella notte sulle banche italiane hanno rapidamente messo in fuga gli investitori. Piazza Affari ha chiuso la seduta in calo del 2,56%. E la fibrillazione non ha risparmiato i titoli di Stato, con lo spread Btp-Bund schizzato a 440 punti. In entrambi i casi, l’Italia è stato il Paese più bastonato di tutto il Continente. Madrid ha contenuto le perdite all’1,60%. Mentre le altre Borse hanno avuto poche ripercussioni: Francoforte ha ceduto lo 0,7%, Parigi e l’indice Stoxx 600 dei principali titoli quotati sui listini europei lo 0,6%, Londra solo mezzo punto. A pesare sulla piazza finanziaria di Milano sono state sicuramente le banche, indebolite dal declassamento. Monte dei Paschi di Siena ha chiuso la seduta in calo del 7,40% a un prezzo di 0,22 euro, Banco popolare in ribasso del 6,77% a 0,9 euro, Unicredit del 5,53% a quota 2,5, Intesa Sanpaolo del 5,47% sotto la soglia psicologica di un euro. Ed è vero che a cedere ieri è stato anche l’euro, crollato a 1,27 dollari in prossimità dei minimi dell’anno.
Ma la spiegazione non basta. La realtà è che l’Italia sembra di nuovo finita, se mai ne è uscita, nell’occhio del ciclone. Ad andar male, infatti, sono stati anche i titoli di Stato, con il rendimento sui decennali italiani salito di 16 punti base, contro una crescita di soli 12 punti accusata dagli spagnoli, di 7 punti dai titoli francesi e la stabilità dei Bund tedeschi.
Di sicuro non hanno contributo a migliorare la situazione i numeri diffusi dall’Istituto nazionale di statistica. Il quadro sembra confermare le pessime previsioni di primavera della Commissione Ue, che solo qualche giorno fa ha tagliato le stime sul nostro Paese, ventilando la possibilità che si renda necessaria una ulteriore manovra correttiva. L'Italia è infatti ancora in piena recessione, con il terzo calo trimestrale consecutivo del pil. La flessione dello 0,8% (-1,3% sul 2011) segue il -0,7% del IV trimestre 2011 e il -0,2% del terzo trimestre. Con l’unica differenza, come si diceva, che adesso abbiamo toccato il record negativo dal primo trimestre 2009. Il risultato, in prospettiva, è una crescita acquisita per il 2012 di -1,3%. Il che significa che per ottenere questo risultato, che sarebbe più o meno in linea con le previsioni del governo contenute nel def, l’Italia dovrebbe chiudere i restanti trimestri perlomeno in pareggio, con una crescita dello 0%. Una circostanza pressoché impossibile, considerato l’andamento dei consumi e della produzione industriale. Più facile che il pil si inabissi ben più giù delle previsioni, arrivando sulla soglia negativa dei due punti percentuali che renderebbe irraggiungibili tutti gli obiettivi di Palazzo Chigi, a cominciare dal “quasi” pareggio di bilancio del 2013.
Il dato sul pil «certifica, senza sorprese, la misura profonda della recessione per la nostra economia». Quello che preoccupa di più, commenta l’ufficio studi della Confcommercio, «è la dimensione della flessione congiunturale rispetto al quarto trimestre 2011, la più elevata tra le principali economie dell’eurozona, soprattutto se confrontata con il -0,3% della Spagna, anch’essa in gravi difficoltà per la crisi dei debiti sovrani e le tensioni generate dallo spread con i titoli tedeschi«. Viceversa, il dato congiunturale della Germania e degli Stati Uniti (+0,5%), in espansione oltre le previsioni, dimostra come il nostro paese «soffra di un gap di produttività sistemico, che amplifica negativamente le fasi recessive ed è insufficiente nelle fasi di ripresa».
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