C’è bisogno «di una riduzione del peso fiscale nel nostro Paese». Non ditelo a Mario Monti, ma pure Vittorio Grilli inizia ad accorgersi che le stangate stanno soffocando il Paese. Intervenuto all’assemblea pubblica di Unindustria, dopo mesi di interventi dedicati alla necessità di sacrifici per far tornare i conti pubblici, in perfetta linea col professore della Bocconi, il viceministro dell’Economia ha detto fuori dai denti che in Italia ci sono troppe tasse.
Non solo, pur ribadendo che sul rigore non ci sono «esitazioni né marce indietro», l’ex direttore generale del Tesoro ha spiegato che «il peso fiscale alto non può essere un motore per la crescita». Da qui, forse, l’idea di sbloccare una volta per tutte il nodo dei crediti della Pa attraverso. E l’operazione si farà attraverso la compensazione con i debiti fiscali, proprio come aveva chiesto il segretario del Pdl Angelino Alfano provocando lo «sdegno» del premier per quello che a suo parere era un palese invito alla disobbedienza fiscale. «Presto», ha annunciato Grilli, «sarà pronto il decreto sulla certificazione dei crediti con la pubblica amministrazione, che varerà un processo di semplificazione che sarà anche la base per una compensazione tra crediti e debiti iscritti a ruolo». Nessuna evasione fiscale. Certificando il loro credito con lo Stato le imprese avranno due possibilità: scontarlo con il sistema bancario o compensarlo con debiti fiscali.
«Se introdurrà la compensazione sarà un fatto molto importante», ha commentato Emma Marcegaglia, presidente uscente di Confindustria, che ieri ha diffuso dati molto negativi sulle prospettive economiche. «La ripresa si allontana», è il senso dell’analisi del Centro studi di Viale dell’Astronomia, secondo cui «la domanda interna cala più del previsto, l’export ha perso slancio rispetto a qualche mese fa, nonostante il commercio mondiale vada meglio, e il credit crunch si è ulteriormente accentuato».
Chi sta lavorando ad una riduzione delle tasse attraverso tagli di spesa è Piero Giarda, anche lui ormai convinto che la pressione tributaria sia «arrivata a livelli molto alti». Malgrado le buone intenzioni, comunque, sembra che per ora a portata di mano sia solo lo slittamento di qualche mese dell’aumento dell’Iva. «A Dio piacendo», dice il ministro dei rapporti col Parlamento. Eppure, a sentire i dati snocciolati ieri da Giarda viene da pensare che di colpi di forbici se ne potrebbero dare eccome. La struttura complessiva della spesa, ha spiegato durante un’audizione parlamentare, vale 650 miliardi. Di questi, 240 miliardi sono per le pensioni. La vera spesa «aggredibile», ha spiegato, è quella che si annida nei costi di produzione, dove «incombe una specie di maledizione: costi più alti del 30% rispetto al settore privato». Considerato che questa parte delle uscite «ammonta a circa 300 miliardi», si tratta di 80 miliardi aggiuntivi. Una cifra imponente, che poco, però, somiglia ai 4 miliardi indicati dal governo come obiettivo della spending review.
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