lunedì 2 agosto 2010

Guerra per il tesoretto di An

Archiviato il divorzio politico, ora bisogna pensare a quello economico. E anche qui la battaglia si preannuncia tutt’altro che facile. Gli ex colonnelli di An non sembrano infatti intenzionati a lasciare che Gianfranco Fini si pappi tutto il tesoretto del vecchio partito. Sul piatto ci sono attualmente circa 105 milioni di euro di cassa e la torta ben più sostanziosa del patrimonio immobiliare: sezioni, case e palazzi sparsi in tutta Italia il cui valore si aggirerebbe sui 3-400 milioni di euro (anche se gli amministratori sostengono che una valutazione vera e propria non sia mai stata fatta). Molti gli immobili di pregio, tra cui il palazzo romano di Via della Scrofa, ex sede nazionale del partito, e la storica sede milanese di Via Mancini.
Terreno di scontro sarà la nascitura Fondazione Alleanza Nazionale, un’idea che nacque (sulla scorta di quanto fatto dai Ds con la creazione del Pd) all’epoca della fusione con Forza Italia non solo per continuare a percepire i rimborsi elettorali, ma anche per blindare i forzieri del vecchio partito e per garantire la proprietà giuridica del simbolo e del nome. Il progetto, che ha preso veramente corpo solo negli ultimi mesi, potrebbe diventare l’asso nella manica del presidente della Camera. A guardia del fortino, infatti, benché negli organismi di controllo siano rappresentate più o meno tutte le ex correnti di An, ci sono fedelissimi di Fini già entrati a far parte dei nuovi gruppi parlamentari Futuro e Libertà.

Le chiavi della cassa
Le chiavi della cassaforte sono in mano a Franco Pontone, tesoriere del vecchio partito, e a Donato Lamorte, storico capo della segreteria politica di Fini ai tempi dell’Msi ed ora amministratore unico delle tre società Italimmobili srl, Immobiliare Nuova Mancini srl e Isva che gestiscono tutto il patrimonio immobiliare di An.
Le varie società sono destinate a confluire nella nuova Fondazione (che dovrà darsi uno statuto entro il 2011), tra i cui garanti, oltre al presidente Lamorte, ci sono due finiani doc come il senatore Egidio Digilio e il deputato Enzo Raisi (amministratore del Secolo d’Italia). Mentre la gestione amministrativa dell’associazione An, il veicolo per arrivare alla Fondazione, è nelle mani fidate di Pontone.

Assalto al Secolo
Qualche settimana fa, prevedendo la bufera, gli ex An non legati al presidente della Camera hanno iniziato a puntare i piedi. Durante l’assemblea per l’approvazione del bilancio 2009 sono infatti fioccate le contestazioni alla gestione economica dell’associazione. Critiche rivolte principalmente agli anticipi concessi dal partito al Secolo d’Italia (gestito da una srl, ma controllato da An attraverso una quota di partecipazione del 97%, pari a 87mila 300 euro di capitale sociale nominale), quotidiano diretto da un’altra fedelissima di Fini come Flavia Perina. A guidare l’assalto, secondo ricostruzioni fatte dalla stessa Perina, sarebbero stato i senatori “larussiani” Antonino Caruso e Pierfrancesco Gamba e Roberto Petri (capo della segreteria politica del ministro della Difesa), anche loro nel comitato dei garanti della Fondazione accanto a Francesco Biava e Maurizio Leo (area Alemanno) e Giuseppe Valentino. Alla fine gli uomini di Ignazio La Russa sarebbero riusciti ad ottenere un tetto all’autonomia di Pontone (che nel 2009 ha portato il bilancio in utile di 38,5 milioni) e un controllo preventivo su tutta la gestione.
Con l’esplosione del caso Montecarlo (l’appartamento l’asciato in eredità al partito dalla contessa Anna Maria Colleoni nel 1999 e ora utilizzato dal fratello della compagna di Fini, Giancarlo Tulliani, attraverso una società off-shore) e lo strappo di questi giorni, le truppe degli ex colonnelli starebbero meditando misure ancora più drastiche, come quella di affidare ad una società di certificazione di bilanci la valutazione della sana e corretta gestione degli attivi patrimoniali.

La mossa di Fini
Nel frattempo, anche Fini sta muovendo le sue pedine. L’idea a cui stanno lavorando gli uomini del presidente della Camera è quella di legare la Fondazione al partito che dovrà nascere da Generazione Italia e dai gruppi parlamentari Futuro e Libertà.
Tutto ruoterebbe intorno alla possibilità di dimostrare legalmente che ci sia una continuità sostanziale tra il nuovo partito e il vecchio. Una tesi il cui argomento forte è chiaramente la presenza dello stesso leader (Fini era presidente di An e lo sarà della nuova creatura politica) e di una parte della stessa classe dirigente.
Molto più semplice, per adesso, sarà portare a casa le spettanze dei due nuovi gruppi parlamentari per le quali non servono battaglie legali né manovre societarie. Basterà presentare il conto agli uffici di Camera e Senato.

La dote dei gruppi
Secondo i calcoli effettuati da Italia Oggi si tratta complessivamente di circa 2 milioni di euro. A Palazzo Madama la dote che i finiani si portano dietro è così suddivisa: 40mila euro sono i fondi per le attività parlamentari dei dieci senatori a cui si aggiungono due contributi di 76mila euro l’uno per i servizi di supporto e 5 contributi sempre da 76mila euro per il personale. In tutto circa mezzo milione di euro.
Si arriva invece a quasi un milione e mezzo per Montecitorio. Calcolando quanto prende complessivamente il gruppo del Pdl e dividendo la somma per ognuno dei deputati si scopre che ogni onorevole costa qualcosa come 43mila euro.
Soldi che vanno quindi moltiplicati per i 33 deputati che andranno a formare il nuovo gruppo di Futuro e Libertà. In tutto un milione e 419mila euro.

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