venerdì 5 marzo 2021

L'unica cosa che cresce è la povertà

Un milione di poveri in più e consumi tornati indietro di 20 anni. Il conto delle chiusure è salato. E arriva proprio nei giorni in cui, tra le varianti che impazzano e i vaccini che non arrivano, il governo sta pensando di blindare di nuovo tutto. Che gli italiani non se la siano passata bene l’ultimo anno lo avevamo già capito da un pezzo, vedendo le file che si allungavano davanti alle mense della Caritas e il pallottoliere impazzito delle ore di cassa integrazione. Ora, però, l’Istat mette nero su bianco i numeri. E c’è veramente poco da stare allegri. 

Il reddito di cittadinanza, i bonus e i ristori alle partite Ive non hanno impedito che la pandemia travolgesse come uno tsunami la popolazione. Con contraccolpi sicuramente pesanti per quelle aree del Paese, come il Mezzogiorno, che già non navigavano in buone acque, ma assai più violenti nei territori del Nord, dove normalmente il tessuto produttivo sforna ricchezza senza sosta. 
Se il Sud resta l’area dove la povertà assoluta è più elevata, con il 9,3% delle famiglie coinvolte e l’11,1% delle persone, nel Settentrione il tasso è passato rispettivamente dal 5,8 al 7,6% (2018mila) per quanto riguarda i nuclei e dal 6,8 al 9,4% (720mila) per quanto riguarda gli individui, con un balzo ben più mercato e conseguenze difficili da prevedere. Al Nord, infatti, a causa del costo della vita elevato, si è spesso indigenti anche con redditi che non consentono di accedere agli aiuti pubblici, tarati su soglie calcolate su base nazionale. Il rischio, insomma, è quello di avere una sacca di disagio sociale che, a differenza di quelle presenti nelle altre aree del Paese, non potrà neanche ricevere i sostegni previsti dal nostro sistema di protezione.

Operai e autonomi
La spiegazione della maggiore incidenza, come dicevamo, è semplice. Nel 2020, il tasso di povertà assoluta è cresciuto soprattutto tra le famiglie con la persona di riferimento occupata (7,3% dal 5,5% del 2019). Si tratta di oltre 955mila famiglie in totale, 227mila in più rispetto al 2019. Tra queste ultime, oltre la metà ha come persona di riferimento un operaio o assimilato (l'incidenza passa dal 10,2 al 13,3%), mentre oltre un quinto un lavoratore in proprio (dal 5,2% al 7,6%).
Complessivamente, Secondo le stime preliminari dell'Istat, nel 2020 le famiglie in povertà assoluta sono oltre 2 milioni (il 7,7% del totale, dal 6,4% del 2019, +335mila) per un numero complessivo di individui pari a circa 5,6 milioni (9,4% dal 7,7%). Si tratta di oltre 1 milione in più rispetto all'anno precedente.

Negozi chiusi
La mancanza di quattrini e la frequente indisponibilità dei luoghi dove fare acquisti causa lockdown hanno avuto un impatto drammatico sui consumi. La stima preliminare della spesa media mensile delle famiglie si è attestata a 2.328 euro mensili in valori correnti, in calo del 9,1% rispetto ai 2.560 euro del 2019. Si tratta del calo più accentuato dal 1997 (anno di inizio della serie storica) che riporta il dato medio di spesa esattamente al livello del 2000. Dopo la crisi del debito sovrano, il biennio 2012-2013 è stato il periodo di maggior contenimento delle spese delle famiglie osservato tra il 1997 e il 2019, ma in quella occasione il calo rispetto al 2011 si era fermato al 6,4%. Confrontato ad ora, poca roba.
L’unica consolazione, seppure assai magra, riguarda il fisco. Nel 2012, a causa della valanga di balzelli varata dal governo Monti, la pressione fiscale balzò al 44%, con un incremento di 1,4 punti rispetto all’anno precedente. Nel 2020 l’aumento delle tasse si è limitato allo 0,7% (dal 42,4 al 43,1%). Con l’aria che tira, ci dobbiamo accontentare. 

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