domenica 14 giugno 2015

In sei anni 641 manovre sparite nel nulla

Avete presente quei numerini di cui sono zeppe le relazioni tecniche dei provvedimenti economici di governo e Parlamento per valutare l’impatto delle varie misure sulla finanza pubblica e sulle nostre tasche? Ebbene, non servono a niente. Sono inutili, carta straccia. Motivo? Una volta scritti nessuno si preoccupa più di verificare se la realtà abbia una qualche corrispondenza con le stime.

La clamorosa rivelazione, che basterebbe da sola a far capire perché in Italia i conti non tornano mai, arriva dalla Corte dei Conti, che nell’ultimo «Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica» ha puntato la sua lente sugli interventi fiscali degli ultimi anni, in particolare di quelli dal 2008 al 2014. Si tratta, come ben si può vedere ogni volta che abbiamo a che fare con l’erario, di cifre assai rilevanti. Nel periodo considerato, l’approvazione di 45 provvedimenti (tra decreti, disegni di legge e manovre di bilancio) ha prodotto un effetto cumulato di 145 miliardi di euro di maggiori entrate nette.

Produzione intensa
Una mole di risorse enormi che è il frutto di quella che la Corte dei Conti definisce una «produzione normativa intensa e variamente articolata». In tutto sono state varate ben 758 misure che, fra maggiori e minori entrate, hanno movimentato fino al 2015 oltre 520 miliardi di euro. L’impatto di 145 miliardi in termini di riduzione dell’indebitamento netto è riconducibile, inutile dirlo, per il 93,4% alla componente entrate tributarie e per il 10,3% a quelle extratributarie.
L’analisi dei magistrati contabili sulla ripartizione del carico fiscale non riserva molte sorprese. A differenza di quanto suggeriscono le istituzioni interne come Bankitalia e quelle internazionali come Ocse, Eurostat ed Fmi, e cioè che la graduatoria delle imposte che più ostacolano la crescita economica sono quelle sui redditi di impresa,  i governi che si sono succeduti dal 2008 al 2014 hanno picchiato duro proprio sulle imprese. La redistribuzione generata da sette anni di manovre, scrive la Corte dei Conti, «si è tradotta in aumenti impositivi sul patrimonio immobiliare, sui consumi e sulle rendite senza che a ciò si accompagnasse una equivalente riduzione del prelievo sui fattori produttivi».

Nessuno controlla
Ma la beffa deve ancora arrivare. A fronte di questa valanga di tasse piovuta sugli italiani negli ultimi anni non c’è, da parte del legislatore, alcun criterio ex post per verificare l’efficacia del percorso intrapreso sia sotto il profilo dei risultati sui conti pubblici, sia dell’equità e della giustizia sociale.
Di quelle 758 misure fiscali varate, infatti, solo per 117 è disponibile un consuntivo. Per le altre 641 non c’è alcuna informazione, alcuna analisi successiva, alcuna verifica postuma.  In termini percentuali, la quota di misure di cuiè possibile valutare gli effetti reali è poco più del 15%. Livello che sale considerando il gettito complessivo inizialmente previsto: il 43% delle maggiori entrate, il 52% delle minori e poco più di un terzo  sull’indebitamento netto.

Forti incertezze
Resta il fatto che tutti gli altri provvedimenti, con un impatto di due terzi su quei 145 miliardi di maggiori entrate nette, sono stati abbandonati come una zattera nel mare. Fenomeno la cui pericolosità è ben spiegata dalla Corte dei Conti. «Si è in presenza», si legge nel documento, «di evidenze che lasciano emergere le forti incertezze che dominano le previsioni di entrata e i rischi cui sarebbe esposta una politica di bilancio che facesse incondizionato affidamento su tali previsioni».
Al di là degli «effetti imprevisti sull’economia e sull’equilibrio di bilancio”, la pratica delle manovre fantasma rende anche impossibile verificare la correttezza di una strategia. È il caso, ad esempio, del contrasto all’evasione fiscale dove, non a caso, «il deficit conoscitivo appare più pronunciato». Per quasi la metà di queste misure non si è in grado di avere un risultato consuntivo certo.
Il risultato finale è catastrofico. «Da un lato», scrivono i magistrati contabili, «c’è il rischio di utilizzare a copertura entrate non certe. Dall’altro, quello di sottoporre il sistema economico ad un drenaggio di risorse superiore rispetto a quanto previsto».

© Libero