È passato appena un anno dalla tornata di nomine che ha coinvolto quasi tutte le partecipate del Tesoro, ma Matteo Renzi è pronto a rimescolare di nuovo le carte. Accanto alle grandi manovre sulla Cdp, i cui vertici sono stati confermati prima che l’ex sindaco salisse a Palazzo Chigi, il dossier su cui sta lavorando a sorpresa lo staff del premier è quello delle Fs, dove i manager sono arrivati solo nella primavera del 2014 su indicazione dello stesso Renzi.
A spingere il presidente del Consiglio ad intervenire nuovamente non è stata la gestione del gruppo, ma il sostanziale flop sul progetto di privatizzazione, che si è infilato da subito sul binario morto della contrapposizione (che molti assicurano tutt’ora intensa) tra il presidente Marcello Messori e l’ad Michele Mario Elia. Sostenitore dello scorporo e della privatizzazione della sola alta velocità il primo, tenace difensore, in continuità con l’ex ad Mauro Moretti, della indivisibilità del gruppo il secondo.
Alla fine, malgrado il sostegno del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, Messori ha avuto la peggio e lo scorso autunno è stato costretto a rimettere le deleghe specifiche, lasciando il dossier in mano ad Elia. Le cose, però, non sono andate come sperava Renzi. Il piano si è di nuovo impantanato su una serie di questioni tecniche apparentemente insormontabili, a partire dal nodo della rete, che fa lievitare fino all’inverosimile il valore del gruppo senza offrire una adeguata remunerazione. A poco sono servite la costituzione di un gruppo di lavoro al ministero dell’Economia e l’individuazione, avvenuta di recente, degli advisor: i tecnici sono ancora al lavoro sulla valutazione del perimetro del gruppo.
Un rallentamento che sta suscitando forti preoccupazioni nel governo. Dalla cessione di una quota intorno al 40% delle Fs dovrebbero arrivare circa 3 degli 11 miliardi complessivi affidati alle privatizzazioni. Gli obiettivi sono già stati ampiamente ridimensionati nel Def di aprile (che prevede di ricavare da qui al 2018 percentuali di pil annue molto inferiori allo 0,7% inizialmente concordato con l’Europa) e la privatizzazione delle Fs è già slittata da quest’anno al 2016. Ma Bruxelles difficilmente accetterà nuove deroghe. Di qui la clamorosa mossa di Renzi: azzerare i vertici e tornare all’originario piano Messori, che potrebbe mettere a rischio l’equilibrio del gruppo (gli utili delle Frecce puntellano tutte le divisioni in perdita del servizio universale), ma permetterebbe di incassare in fretta i 3 miliardi.
Se è quasi certo che Elia lascerà la poltrona, ancora non è chiaro chi prenderà il suo posto. In pista ci sono sia Vicenzo Soprano, attuale ad di Trenitalia, sia Maurizio Gentile, ad di Rfi. Ma non è escluso che Renzi tiri fuori dal cilindro un manager esterno. Quanto al presidente, Padoan spingerebbe per una conferma di Messori, considerato anche che il piano di scorporo delle Frecce è suo. Ma il gioco dei veti incrociati potrebbe far saltare anche la sua poltrona.
Nel frattempo Renzi si è dato da fare con altre nomine, rinnovando i vertici in scadenza di Invimit, Consip, Sogei ed Enav. Qui a sopresa è arrivata Roberta Neri, uscita dall’Acea nel 2009 con una super buonuscita e rientrata qualche mese fa nella stessa utility dopo il rimpasto voluto dal sindaco Marino. Alla Consip è invece finito Luigi Marroni, assesore toscano alla Sanita uscente a cui, secondo indiscrezioni, Renzi da un anno stava cercando un posto per liberare la casella
© Libero