«Prima ancora che infondate, le accuse di “aver dato vita a un’iniziativa sul piano umano volgare e diffamatoria, sul piano politico infame e sul piano costituzionale eversiva” (parole di Vincenzo De Luca, ndr.) sono semplicemente inaccettabili». E toccano «il cuore delle istituzioni». Le attese non sono state deluse. Dopo aver per giorni incassato le critiche feroci da parte del neo governatore della Campania e dei vertici renziani del partito, nella prima seduta plenaria dell’Antimafia dopo la bomba degli impresentabili Rosy Bindi è partita al contrattacco.
Nel pomeriggio il capogruppo Pd in commissione, il senatore Franco Mirabelli, aveva tentato di gettare acqua sul fuoco aprendo ad un confronto sui compiti dell’organismo in materia di rapporti tra criminalità e politica. Ma la Bindi, ansiosa di mettere a verbale la ricostruzione di una vicenda finora rimasta circoscritto all’ufficio di presidenza (e quindi non agli atti) si è subito lanciata in una serrata difesa del suo operato, caratterizzato da «imparzialità e correttezza» e frutto «di una iniziativa largamente condivisa dai gruppi parlamentari». Lo spirito, ha spiegato la Bindi, «non è stato quello di creare indebite black list, ma di assolvere ad un compito della commissione stabilito dalla legge». E il fatto che la politica non sia riuscita a fare «un’opera di pulizia al suo interno», ha proseguito, «non vale a far venir meno un preciso dovere giuridico».
Poi, rivolgendosi direttamente al principale accusatore, nonché membro eccellente della lista degli impresentabili, De Luca, la presidente della Commissione ha definito «singolare» che chi «si duole» del lavoro dell’organismo, «addirittura lamentando la violazione della Costituzione e presentando denunce penali, sebbene si sia candidato a cariche politiche, non riponga la stessa fiducia né nella massima istituzione rappresentativa, il Parlamento, né nelle informazioni acquisite presso l’Autorità giudiziaria». Quanto all’opportunità di proseguire lo screening sulle liste elettorali, su cui si è consumata nei giorni scorsi la spaccatura in commissione, la Bindi sembra intenzionata a procedere sulla sua strada: «Stupisce che non ci si renda conto che legittimare ostracismi politici fondati su inchieste private o voci pubbliche non sostenute da precisi elementi probatori finirebbe per colpire la nostra democrazia». Tuttavia, ha concesso, «si dovrà meditare per il futuro su come affrontare il nostro ruolo nell’indagare su mafia e politica». Un dibattito per ora rimandato. Dopo la relazione della presidente la seduta è stata, infatti, aggiornata.
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