La “buona notizia” sbandierata ieri da governo e Inps così buona non è. Era già stato deciso, infatti, che dal primo agosto l’istituto avrebbe pagato (il «bonus Poletti», cioè l’una tantum dovuta a titolo di (molto parziale) rimborso sulle pensioni, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato illegittimo il blocco della rivalutazione degli assegni superiori a 1.443 euro imposto dal governo Monti per il biennio 2012-2013. Se qualche dubbio c’era ancora, semmai, riguardava l’entità del bonus promesso da Renzi: lordo o netto? La risposta definitiva è arrivata ieri nella circolare diffusa dalla Direzione centrale dell’Inps e - come anticipato da Libero il 20 maggio - per i pensionati è la risposta peggiore.
Matteo Renzi, secondo costume, annunciando le cifre del bonus il 18 maggio, le aveva presentate come se fossero nette: «Se tu prendi 1.700 euro lordi di pensione, il primo agosto il bonus Poletti sarà di 750 euro, se prendi 2.200 euro sarà di 450 euro, se prendi 2.700 sarà di 278 euro. Quelli sopra i 3.200 euro di pensione non riceveranno alcunché». Il decreto varato dal governo quello stesso giorno non faceva alcun accenno alla questione fiscale, lasciando intuire che si sarebbe adottata la disciplina vigente, ovvero tassazione separata per la parte che riguarda gli anni 2012, 2013 e 2014 e tassazione Irpef ordinaria per la quota (piccola) riferibile al 2015. Ma dal ministero dell’Economia, anche se informalmente, assicuravano che le cifre promesse dal premier erano comunque nette.
Il decreto fissava anche le cifre del rimborso. Queste non solo confermavano l’enorme sconto che il governo si era auto-applicato ai danni dei pensionati, in modo da spendere 2,18 miliardi anziché i 18 che sarebbero stati necessari per garantire un rimborso completo, ma risultavano ben più avare di quelle diffuse dal premier. I pensionati che nel 2012 ricevevano un assegno mensile lordo tra i 1.443 e i 1.924 euro avrebbero avuto il 40% di quanto era stato loro sottratto, quelli con un trattamento tra i 1.924 e i 2.405 euro avrebbero ottenuto solo il 20% e quelli della fascia superiore, sino ai 2.886 euro, appena il 10%. Sopra questa cifra, corrispondente a circa 2.096 euro netti, non ci sarebbe stato nessun rimborso (Renzi, come detto, aveva invece fissato la soglia di non pagamento a 3.200 euro).
Restava solo da capire una volta per tutte se aveva ragione il ministero dell’Economia, a insistere nel dire che il bonus era netto, o se erano fondate le informazioni di questo giornale e le preoccupazioni di chi temeva che il governo stesse covando l’ennesima brutta sorpresa. La circolare Inps diffusa ieri toglie ogni dubbio: «Le somme arretrate per effetto della sentenza in esame, devono essere assoggettate ad Irpef con il regime della tassazione separata, ex art. 17 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, con esclusione delle somme maturate successivamente al 31.12.2014, assoggettate, invece, a tassazione ordinaria». In altre parole il bonus è lordo e sarà normalmente soggetto ad imposizione fiscale: con l’aliquota della tassazione separata per quanto riguarda la somma relativa agli anni 2012, 2013 e 2014 e con i normali scaglioni Irpef per la parte relativa all’anno in corso.
Tra i pochi ad accorgersene, il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, per il quale dopo il «danno» per i pensionati adesso arriva la «beffa». Il fatto che i bonus siano lordi «significa che, per chi li riceve, va via almeno un altro venti per cento di tasse». Le quali, ricorda l’economista azzurro, «nell’ultimo anno di governo Renzi sono aumentate per finanziare il bonus degli 80 euro da cui, tra l’altro, i pensionati sono stati esclusi».
Le direttive specifiche dell’Inps per il calcolo della tassazione separata devono ancora essere emanate, ma in molti casi la somma da girare al fisco rischia di essere superiore al 20%, per giungere al 23% del bonus nel caso in cui il pensionato non possa usufruire di detrazioni. Il titolare di un assegno lordo da 2.300 euro al mese (pari a un netto di 1.706 euro) vedrà così il proprio bonus di 609 euro ridursi a 469 euro.
La circolare diffusa ieri dall’istituto prevede anche che la ricostituzione dei trattamenti pensionistici avvenga «d’ufficio», cioè senza che occorra presentare domanda. Servirà invece una apposita richiesta agli eredi di chi avrebbe avuto diritto al bonus ed è deceduto nel frattempo: in questo caso la domanda all’Inps dovrà essere presentata prima che scatti la prescrizione, che di norma cade dopo un periodo di dieci anni.
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