martedì 27 gennaio 2015

Passera. "La Grecia ce la farà. E' Renzi che porta l'Italia verso il disastro"

La Grecia non lo preoccupa più di tanto. «Credo che alla fine ci sarà un accordo con l’Europa, se poi Atene deciderà di uscire dall’euro sarà un problema gestibile. Ma i patti vanno onorati. Abbiamo prestato alla Grecia 40 miliardi. Sono soldi dei contribuenti che vanno restituiti». Tutt’altra la previsione sull’Italia, dove secondo Corrado Passera «i quattro populismi» che occupano la scena politica stanno portando il Paese al «disastro».

Un semestre Ue buttato alle ortiche, riforme fasulle, imprese in ginocchio: l’analisi è impietosa. Ma guai ad accusare l’ex banchiere di pessimismo. Dopo un anno di sperimentazione sul campo Passera ha deciso di fare sul serio. Sabato prossimo Italia Unica diventerà un partito vero e proprio, con statuto, organi sociali e tutti gli orpelli previsti dalla Costituzione. Nella sede della nuova formazione, un grande appartamento nel quartiere Pinciano di Roma dove balza agli occhi la mancanza di manifesti, icone e simboli che tradizionalmente tappezzano le pareti, si respira l’entusiasmo della start up: computer che sfrigolano, tanti giovani. Ma il più impaziente è lui, Passera, che dopo l’esperienza da tecnico allo Sviluppo economico si prepara a confrontarsi col nuovo mestiere con una carica di ottimismo da fare invidia, considerato lo stato di salute della politica nazionale. «Io dico», ci spiega, «che c’è una bella fetta di italiani che non ragiona soltanto per slogan, che vuole sentirsi dire come stanno le cose, come si può cambiare. Bisogna dare una concreta prospettiva di sviluppo».

Anche Renzi dice di credere nello sviluppo...
«Poi, però, come gli altri ha alzato le tasse, aumentato la spesa pubblica e vissuto giorno per giorno. Basta guardare il Def, dove c’è candidamente scritto che l’effetto delle manovre e delle riforme sarà dello 0,1% del pil. Cioè nulla».

Meglio della recessione...
«Se di fronte a 10 milioni di disoccupati il governo ci dice che tutto quello che propone non avrà effetto sulla crescita, la risposta può essere una sola: cambiate mestiere».

In Europa, però, il premier si è battuto per la flessibilità...
«Se la situazione non è precipitata dobbiamo ringraziare Draghi che ha fatto la sua parte con i tassi bassi e la svalutazione dell’euro. Ma il semestre è stato un fallimento totale. Abbiamo sprecato l’occasione per fare una grande battaglia sugli eurobond che potrebbero finanziare un piano di investimenti da 1.000 miliardi».

Però abbiamo il piano Juncker...
«Che al massimo metterà in movimento 21 miliardi divisi per 28 Paesi per tre anni. Irrilevante».
Il cambio della guardia in Grecia potrebbe portare benefici all’Italia nel duello con la Ue?
«La Grecia deve mettere a posto se stessa prima di ridiscutere i vincoli con l’Europa. È stato uno dei Paesi peggio gestito al mondo negli ultimi anni».

Quindi non esiste un problema Germania?
«La Germania fa parte di un gruppo di Paesi forte in Europa perché ha spinto la crescita attraverso gli investimenti e le riforme. L’Europa può essere qualcosa di meglio, anche da subito, ma per poterlo pretendere dobbiamo noi per primi fare la nostra parte».

Sta dicendo che Renzi non ha fatto le riforme?
«Non so, mi dica lei, non c’è niente».

No, mi dica lei: il jobs act?
«Quando ero al governo è stato fatto un primo passo, quello successivo doveva riguardare il demansionamento, la rappresentanza, l’apprendistato, la riduzione dell’articolo 18 ai soli discriminatori. Invece si è creata una nuova categoria di licenziabili, ma non tanto e non sempre».

Era meglio lasciar perdere?
«Sì. In un momento come l’attuale in cui servono grandi cambiamenti, fare piccole modifiche è peggio di non far niente. Adesso per chissà quanti anni non si parlerà più di questo».

E le riforme costituzionali?
«Lasciare il Senato in mano ai consigli regionali è un crimine politico».

Insomma, cosa bisognerebbe fare?
«Ridurre le tasse, tagliare la spesa e, soprattutto, smantellare questa macchina pazzesca del mondo pubblico che rende impossibile fare ogni cosa».

La rivoluzione liberale del 1994?
«Esatto, quella mai fatta».

Ma per aggredire il moloch della Pa ci vuole un consenso che nessuno ha mai avuto...
«E che noi ci andremo a prendere. Alle Poste ho dimostrato che la Pa si può cambiare. Mi sono beccato subito 30 giorni di sciopero. Poi, però, con i sindacati abbiamo trovato l’accordo. In cinque anni, grazie a profonde ristrutturazioni, abbiamo trasformato le Poste dalle peggiori d’Europa ad una delle realtà migliori. Gliel’ho detto, sono ottimista».

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