martedì 9 dicembre 2014

Aria di manovrina e riforma delle pensioni

Il governo continua a ripetere che la «renzinomics» piace a tutti. Eppure, l’Europa vuole una manovra aggiuntiva mentre l’Ocse ci chiede addirittura un’altra riforma delle pensioni.  Malgrado le acrobazie semantiche degli spin doctor, il messaggio arrivato ieri da Bruxelles è chiaro: entro marzo l’Italia dovrà presentare una correzione dei conti più robusta. A ballare sono i soliti 6 miliardi di scarto tra la riduzione del deficit/pil strutturale dello 0,1% previsto dalla legge di bilancio e lo 0,5% imposto dal patto di stabilità. Questo gap, ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, può essere colmato in due modi: «Adottando nuove misure o con una nuova valutazione dell’efficacia delle misure già adottate». Una terza possibilità, ha proseguito, è che la «commissione ritenga che lo 0,1% di correzione già prevista sia in realta più elevata, allo 0,2%».

Resta da capire se la valutazione di Bruxelles tenga già conto di quei 3,2 miliardi accantonati da Matteo Renzi per centrare l’obiettivo dello 0,3% di correzione oppure se quella sarà la carta da mettere sul tavolo per superare l’esame a marzo. Le parole di Dijsselbloem, comunque, non sono rassicuranti: «È una questione di credibilità, abbiamo chiesto nuove misure, speriamo che a marzo siano prese». Concetto ribadito anche dal commissario agli Affari economici Pierre Moscovici.
Tutt’altra la versione diffusa da Via XX Settembre, prima attraverso il portavoce poi con un tweet del ministro Pier Carlo Padoan: «Nessuna richiesta di manovra aggiuntiva, anche l’Eurogruppo apprezza l’agenda di riforme dell’Italia». Una difesa basata più che altro sul fatto che nel comunicato del vertice per l’Italia si parla di «misure efficaci per migliorare lo sforzo strutturale», mentre per la Francia  l’aggettivo utilizzato è «aggiuntive».

Gli uffici stampa hanno lavorato ieri anche per ricucire lo strappo della Merkel, che in un’intervista ha definito «insufficenti» gli sforzi italiani e francesi. «Il cancelliere», ha precisato il portavoce, «appoggia questi difficili e coraggiosi processi di riforme».
Più difficile per il ministero dell’Economia addolcire la mazzata arrivata sempre ieri dall’Ocse, secondo cui, in barba alla Fornero e ai suoi esodati, la spesa pensionistica italiana continuerà ad aumentare in rapporto al pil sia nel breve sia nel lungo periodo. I numeri sono chiari: dal 14,9% nel 2015 salirà fino al 15,7% nel 2050. L’unica consolazione è che l’incremento sarà più contenuto di quello di altri Paesi. Il nostro punto di partenza è, però, disastroso. Il costo della previdenza in Italia (i dati dell’outlook Ocse sono del 2011) rappresenta il 32% di tutta la spesa pubblica. La media dei paesi avanzati è del 18%. E quando noi saremo vicino al 16% del pil la media Ocse sarà al 12%. Detto questo, l’organismo internazionale definisce «importante» l’impatto della riforma e «ampia» la platea coinvolta. Però alla voce adeguatezza in termini di reddito il voto è «negativo». Di qui la necessità di agevolare i fondi pensione e di incoraggiare gli anziani a mantenere il lavoro. Praticamente il contrario di quello che sta facendo il governo.

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