giovedì 11 dicembre 2014

Schiaffo da Bruxelles: manovra bis o conseguenze spiacevoli

«Se alle parole non seguiranno i fatti, le conseguenze saranno spiacevoli». Dagli avvertimenti alle minacce. Dopo il declassamento di S&P e la bacchettata dell’eurogruppo sul mancato rispetto degli impegni, ieri il traballante percorso di risanamento messo in atto dal governo italiano è finito nel mirino anche della Commissione europea. A Matteo Renzi non piace l’idea dei compiti a casa, ma il tono usato da Jean Claude Juncker è proprio quello con cui ci si rivolge ai discoli che non vogliono ubbidire. «Dobbiamo fidarci di italiani e francesi e poi vedremo, probabilmente nel mese di marzo, come è andata», ha spiegato il presidente della Commissione in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Se andrà male, ha proseguito, «la situazione diventerà molto sgradevole per entrambi i Paesi».

Nell’articolo, che per evitare fraintendimenti è stato titolato «Juncker minaccia Francia e Italia», il numero uno di Bruxelles spiega che «senza le misure annunciate, ci sarà un aggravamento della procedura per disavanzo eccessivo». Il che vuol dire, nella migliore delle ipotesi, che la Commissione imporrà all’Italia sforzi aggiuntivi, ovvero nuove tasse. Se le cose si dovessero mettere peggio, invece, oltre ai diktat scatterebbe pure un’altra procedura di infrazione. Con il rischio di possibili sanzioni: lo 0,2% del pil (che per noi significa circa 3,2 miliardi) inizialmente messo in un deposito fruttifero e successivamente, in caso di mancato rispetto delle raccomandazioni, versato nelle casse di Bruxelles a titolo di multa. Un rafforzamento delle regole introdotto con il two pack stabilisce inoltre che il prestito può essere convertito in multa anche dopo due soli avvertimenti andati a vuoto.
Malgrado le bordate ormai quotidiane sul cattivo stato di salute della finanza pubblica italiana, il governo neanche ieri si è scomposto. La replica del ministro dell’Economia è praticamente fotocopiata da quella usata per S&P e ed eurogruppo. Juncker ha detto «una cosa che già sappiamo e su cui ci siamo impegnati», ha minimizzato Pier Carlo Padoan, «l’Italia sta facendo enormi sforzi sulle riforme strutturali, con risultati che cominciano ad arrivare, e questo è un elemento di valutazione positivo da parte della Commissione europea».

L’imperturbabilità con cui via XX Settembre continua ad incassare i colpi ha ormai raggiunto livelli da fare invidia ad un vecchio monaco buddhista. Ma la consegna di Palazzo Chigi è, evidentemente, precisa: qualsiasi cosa accada, è «uno stimolo per le riforme».
Del resto, considerata la situazione, basterebbe la prospettiva, anche ventilata, di una nuova «cura» europea a far esplodere in mille pezzi il fragile castello politico tenuto in piedi da Renzi a forza di annunci e fughe in avanti. A rendere l’equilibrio ancora più precario ci si sono messe ieri anche le tensioni sui mercati. I segnali di instabilità arrivati dalla Grecia si sono infatti ripercossi immediatamente anche sul nostro Paese, a dimostrazione della percezione di scarsa solidità che hanno gli investitori nei confronti dell’Italia.

Non solo. I mercati temono che la convocazione anticipata delle elezioni presidenziali possa concludersi con la sconfitta del candidato del premier Antonis Samaras e, di conseguenza, con una chiamata alle urne lampo. Uno scenario non troppo lontano da quello che potrebbe accadere anche in Italia nei prossimi mesi. Risultato: in Grecia i titoli triennali hanno toccato un record del 9,2% contro l’8,2% segnato dai decennali. Da noi, invece, lo spread è tornato a ballare, superando i 140 punti prima di chiudere a 138. L’asta dei Bot è andata bene, con 5,5 miliardi di titoli annuali piazzati, ma il rendimento è risalito dallo 0,335 del mese scorso allo 0,418%.
In questo quadro si inseriscono i passaggi delicati dei prossimi giorni, a partire dalla legge di stabilità su cui in Senato sono piovuti 3.800 emendamenti. Ma a preoccupare Palazzo Chigi è più che altro il duello con le Regioni. Per evitare lo scontro frontale ieri in sede di Conferenza unificata il governo ha chiesto ai governatori di rinviare il parere sulla manovra alla prossima settimana in attesa di possibili emendamenti che potrebbero smussare i tagli e favorire un’intesa.
Per il resto, sembra ormai certa la riduzione della stangata sui fondi pensione (anche sotto il 17%), mentre il Tfr in busta paga resta tassato ad aliquota ordinaria e per le Fondazioni non ci saranno interventi significativi. In arrivo una modifica correttiva sul gaming. Local tax e canone Rai in bolletta, invece, ha spiegato il viceministro all’Economia, Enrico Morando, saranno oggetto di altri provvedimenti.

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