venerdì 12 dicembre 2014

Anche Draghi minaccia sanzioni. E Juncker ormai ci prende in giro

E quattro. Dopo S&P, eurogruppo e Jean Claude Juncker (che ieri ha addirittura rincarato la dose) la sberla quotidiana sulla politica economica del governo è arrivata puntuale. Questa volta è stato il turno di Mario Draghi, che qualcuno  si ostina a considerare dalla parte di Matteo Renzi. «Lo vedo spesso», disse il premier la scorsa estate dopo il blitz ferragostano nella tenuta dell’ ex governatore a Città della Pieve.

Una frequentazione che non ha impedito al numero uno della Bce di consegnare, con il consueto bollettino mensile, un bel regalo di Natale al governo. «In prospettiva», si legge nella parte del documento dell’Eurotower dedicata all’Italia, «è importante assicurare il pieno rispetto dei requisiti del Patto di stabilità  e della regola del debito per non mettere a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche e preservare la fiducia dei mercati». Un suggerimento amichevole. Condito, però, da una stringente serie di considerazioni. Il progetto di bilancio, scrive la Bce, «comporterebbe un aumento nel 2015 del fabbisogno finanziario netto dello 0,4% del Pil». A questo si aggiunge un rinvio della scadenza del pareggio di bilancio strutturale al 2017, «in ritardo cioè di due anni rispetto alla raccomandazione Ecofin, e una deviazione dalla regola del debito». TuttE circostanze già valutate dalla Commissione come «violazioni» dei patti. Se il giudizio sarà confermato, spiega Draghi con la freddezza del gergo tecnico, Bruxelles «dovrà redigere una relazione  che potrebbe portare a una procedura per i disavanzi eccessivi basata sul debito».

Il messaggio è chiaro. E ricalca quello già arrivato dall’eurogruppo e da Juncker: senza manovra correttiva il rischio per l’Italia di finire in fuorigioco è elevatissimo. Con le sanzioni (lo 0,2% del pil) pronte a scattare e la prospettiva di un vero e proprio commissariamento .
Condizione in cui, secondo quanto riferito ieri dal presidente della Commissione, ci troveremmo già se non fosse stato per la «benevolenza» di Bruxelles. «Se c’è qualcuno che non può lamentarsi», ha detto Juncker in un’intervista che comparira oggi su tre quotidiani europei (tra cui Avvenire), «è proprio l’Italia. Avremmo potuto attivare una procedura per debito eccessivo. Invece ho parlato con Renzi e gli ho detto di scrivermi una lettera per mostrare la volontà di intraprendere le necessarie riforme. Abbiamo agito in modo politico, non da burocrati, e non siamo mai stati più flessibili».

In questo scenario di ostilità crescente, l’affondo dell’ex governatore di Bankitalia è l’ultimo tassello di un cerchio che si è ormai chiuso intorno al premier. Al di là dei rapporti con Renzi, la mossa di ieri dell’Eurotower non è una semplice resa a Berlino. L’obiettivo di Draghi resta quello di una stabilità europea che, a suo giudizio, potrà essere difesa solo con il famoso bazooka, ovvero iniettando masse enormi di liquidità sul mercato. Rientrano in questa strategia gli acquisti di Abs e le aste di Tltro. Ma è chiaro che solo il quantitative easing (l’acquisto di titoli di Stato) potrà ottenere il risultato sperato.
La conferma è arrivata dall’asta di ieri, che si è conclusa con la distribuzione alle banche europee di prestiti per soli 129 miliardi, rispetto ad una disponibilità della Bce di 250 miliardi.
Malgrado la circospezione e la gradualità con cui si è mosso l’ex governatore, che è riuscito per ora ad ottenere l’unanimità sulla prospettiva delle misure «non convenzionali», le resistenze nei confronti del quantitative easing sono però ancora molto forti. E la severità massima nel rispetto delle regole da parte dei Paesi periferici, come l’Italia, è l’unica moneta di scambio che il presidente della Bce ha nei confronti della fronda europea che vede nell’acquisto di titoli una mutualizzazione dei rischi e quindi un incoraggiamento verso gli Stati indisciplinati a farsi beffe dei patti.
Per noi, comunqe vada, saranno guai grossi.

© Libero