Le previsioni macroeconomiche, per quello che può valere, considerati gli errori di valutazione degli ultimi anni, questa volta coincidono con quelle del governo. Il 2014, ha spiegato ieri l’Istat nella nota diffusa in mattinata e nell’audizione parlamentare del pomeriggio sulla legge di stabilità, si chiuderà a -0,3%, così come previsto nel Def. Nel 2015 ci sarà una lieve ripresina, che l’istituto di statistica quantifica nello 0,5% di pil e il governo nello 0,6, mentre nel 2016 la crescita, per entrambi, arriverà all’1%.
Il bello è che queste cifre prescindono dalla legge di bilancio. L’effetto di quella che Matteo Renzi ci ha venduto come una manovra di sviluppo, che taglia le tasse e spinge sulla crescita, sarà infatti pari a zero. «Nullo», dice l’Istat, spiegando che «la compensazione tra gli stimoli legati ad aumenti di spesa e alla riduzione della pressione fiscale e l’effetto negativo dovuto alla clausola di salvaguardia sull’aumento dell’Iva nel 2016» azzererà l’impatto della legge di stabilità sul biennio 2015-2016. Mentre per il 2017, ha precisato il presidente dell’istituto, Giorgio Alleva, ci sarà addirittura un effetto recessivo sul pil. Al netto delle riforme strutturali e dei possibili effetti sul costo del debito pubblico dovuti agli interventi di politica economica, ha detto, concedendo quindi a Renzi il beneficio dell’imponderabile, nel 2015-2016 «la crescita economica reale beneficerebbe in modo marginale delle manovre espansive, rimanendo sostanzialmente invariata rispetto al quadro tendenziale».
Nel dettaglio, «l’aumento della dinamica dei consumi delle famiglie si rifletterebbe in parte in maggiori importazioni e verrebbe compensato dalla riduzione di consumi e investimenti pubblici». Nel 2017, invece, in conseguenza dell’orientamento restrittivo della manovra programmata la crescita economica si ridurrebbe di quasi due decimi di punto rispetto al quadro tendenziale». Tuttavia, prosegue l’Istat, «gli effetti sul bilancio pubblico potrebbero essere più favorevoli rispetto alle valutazioni ex-ante, permettendo il raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica più ambiziosi di quelli fissati dal governo». Quanto al bonus di 80 euro, secondo l’Istat, «porterebbe una lieve riduzione delle diseguaglianze» portando 97mila famiglie fuori dall’area della povertà. L’economia, fortunatamente, migliorerà da sola. Al netto del jobs act, ha spiegato l’Istat, nei prossimi due anni ci saranno 100mila occupati in più, mentre i consumi delle famiglie dopo tre anni di riduzione nel 2014 segneranno un +0,3%.
Più generosa l’analisi di Bankitalia che, ascoltata alla Camera, parla di una «riduzione significativa» del cuneo sul lavoro e di una previsione dello scenario macroeconomico che appare «condivisibile». Detto questo, però, il vice direttore generale Luigi Federico Signorini ha messo in guardia il governo sul Tfr in busta paga, poiché «l’adesione dei lavoratori a basso reddito aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate», e sulle clausole di salvaguardia, che produrebbero un incremento della tassazione «molto elevato» e farebbero scattare la corsa all’evasione. Pure sui tagli agli enti locali Bankitalia ha spiegato che si è arrivati a 30 miliardi in 4 anni, quindi «occorre evitare che questa tendenza prosegua». Quanto all’impatto della manovra, anche secondo Via Nazionale «l’effetto espansivo sarà modesto». Molto dipenderà, «dalle modalità con cui verranno effettuati i risparmi di spesa».
Va giù pesante, invece, la Corte dei Conti, secondo cui nella manovra c’è molto poco sulla Pa, a partire dal riordino delle partecipate che è un tema «di primaria attenzione nel processo di revisione della spesa». La decontribuzione per i neoassunti, invece, potrebbe provocare distorsioni, mentre sono «rischiose» le coperture affidate alla lotta all’evasione. Allarme rosso, infine, sui tagli, che costituiscono un «impegno gravoso» e rischiano di provocare una nuova ondata di aumenti del fisco locale.
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