giovedì 27 novembre 2014

La Ue ci impone di assumere 250mila precari nella scuola

Da 250mila a un milione di ricorsi. Le proporzioni della slavina che potrebbe abbattersi sul governo dopo la sentenza della Corte di Giustizia Ue sono titaniche. La decisione dei giudici di Lussemburgo sui precari della scuola italiana ha aperto una breccia dentro la quale sono pronti ad infilarsi tutti i lavoratori della Pubblica amministrazione in attesa di un contratto a tempo determinato. Un esercito che secondo l’ultimo censimento dell’Aran si limiterebbe a 317mila unità, ma che la Cgia di Mestre quantifica in oltre 1,1 milioni, di cui 514mila nella scuola e nella sanità, 477mila nei servizi pubblici e sociali e 119 occupati direttamente nella Pa.

Il verdetto europeo di ieri arriva al termine di un contenzioso legale che va avanti da oltre 10 anni. A Lussemburgo hanno trovato piena accoglienza le ragioni di migliaia di docenti e Ata che negli anni hanno fatto ricorso chiedendo di essere assunti sulla base di un’anzianità di servizio superiore ai tre anni, anche non continuativi, come previsto dalla direttiva Ue 1999/70 che impone agli stati membri l’adozione di misure preventive per evitare l’abuso dei contratti a termine. La sentenza non determinerà di per sè assunzioni immediate. Trattandosi di un rinvio pregiudiziale, e cioè di quel meccanismo che consente ai giudici degli Stati membri di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione, la controversia nazionale sarà comunque affidata alla giustizia ordinaria. Il principio stabilito a Lussemburgo è però chiaro: «L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non ammette una normativa che, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali dirette all’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti e di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento delle procedure concorsuali ed escludendo il risarcimento del danno subito». Inoltre la legge italiana «non prevede criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo risponda ad un’esigenza reale». E «non contempla neanche altre misure dirette a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a tali contratti».

Tanto basta ai sindacati per scatenare una vera e propria guerriglia legale a favore dei supplenti in servizio permanente effettivo e non solo. «Ora 250mila precari possono chiedere la stabilizzazione e risarcimenti per due miliardi di euro, oltre agli scatti di anzianità maturati tra il 2002 e il 2012 dopo il primo biennio di servizio e le mensilità estive su posto vacante», annunciano dall’Anief (Associazione sindacale professionale), spiegando che la sentenza avrà effetti sul sistema di assunzioni in tutta l’amministrazione pubblica.

E qui la matassa si aggroviglia, perché un piano del governo per la stabilizzazione dei precari già c’è, ma di dimensioni ben inferiori e rivolto anche a chi nella scuola, a differenza dei supplenti difesi dalla Corte Ue, non ci ha mai messo piede. Le 148mila assunzioni previste nel piano «la buona scuola» di Renzi dovrebbero portare in cattedra nel settembre 2015 tutti i precari inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento. Elenchi in cui compaiono anche docenti che al proprio attivo hanno una manciata di punti, ottenuti al momento dell’abilitazione, e neanche una supplenza. Secondo alcune stime questi «precari» non lavoratori sarebbero un numero variabile tra i 25mila e i 40mila. E il loro inserimento lascerebbe a bocca asciutta proprio i supplenti, oltre 100mila secondo l’Anief, di cui si è occupata ieri la Corte di giustizia, che non sono nelle graduatorie ma hanno diversi anni d’insegnamento alle spalle.

In questo scenario l’intenzione dei sindacati, forti della sponda europea, è quella di una grande infornata che comprenda tutti. «Il governo deve dare immediata attuazione alla sentenza stabilizzando tutti i precari e non solo quelli iscritti nelle graduatorie», avverte il leader della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo. Tutt’altra l’idea del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, secondo cui «i contenuti e i metodi che la Buona scuola prevede sono perfettamente in linea, ma anticipatori, rispetto a quello che la Corte europea ha indicato».
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