venerdì 11 maggio 2012

Il mondo rischia un crac da 35mila miliardi

Lo spread non scende, la Cina ci sbatte la porta in faccia, Angela Merkel gela il governo sugli eurobond e S&P profetizza una bufera mondiale da 35mila miliardi. L'unica buona notizia arrivata ieri sul fronte della crisi è che Goldman Sachs continua ad investire in Europa. La banca d'affari ha infatti annunciato di aver acquistato altri 2,3 miliardi di titoli italiani e di aver incrementato l'esposizione sui Paesi periferici. Per il resto, il quadro è davvero poco incoraggiante.

All'indomani dell'euforia di Mario Monti sulla possibilità di scorporare gli investimenti dai calcoli di bilancio ai fini del fiscal compact, la cancelliera tedesca ha fatto capire che i margini di manovra per alleggerire la disciplina comunitaria sono strettissimi. «Non ci sono strumenti miracolosi contro la crisi, gli eurobond non sono sostenibili», ha detto la Merkel in Parlamento, aggiungendo che la crescita va bene, ma non quella finanziata con i prestiti, che avrebbe effetti controproducenti. Appoggiarsi sui «debiti», ha spiegato, «ci riporterebbe all'inizio della crisi». Bene, dunque le riforme, ma nessuno si aspetti, come sembrava ventilare in questi ultimi giorni il governo italiano, che «la crisi si superi in un colpo solo».

E mentre lo spread tra Bund e Btp continua a veleggiare pericolosamente intorno ai 400 punti base, anche dall'estremo Oriente arriva una doccia gelata per Palazzo Chigi. Il ricchissimo (nel 2010 deteneva asset per 410 miliardi di dollari) fondo sovrano di Pechino, China investment corporation, ha fatto sapere che non ha alcuna intenzione di scommettere denaro sull'incerta situazione europea. «Anche se siamo alla ricerca di nuove opportunità di investimento, non intendiamo acquistare bond europei». Esattamente il contrario di quello che aveva lasciato intendere sia il premier, nel corso del viaggio asiatico di qualche settimana fa (dove aveva imprudentemente annunciato che la crisi era finita), sia il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, che lo scorso 25 aprile è volato a Pechino in una missione diplomatica lampo proprio per una serie di incontri con i responsabili dei fondi di investimento pubblici del Dragone. «La Cina», aveva detto al suo rientro, «guarda con favore ai nostri sforzi». C'è un atteggiamento «più positivo rispetto all'estate scorsa», aveva aggiunto Grilli, ammettendo però a mezza bocca che «più di investimenti specifici si è parlato dell'apertura e delle riforme che stiamo facendo in Italia».

Nulla di buono, intanto, arriva dal fronte greco, dove la disoccupazione ha toccato il nuovo record al 21,7%. Ieri il Fondo europeo salva Stati ha erogato una tranche da 4,2 miliardi del prestito. Soldi che, ha detto un portavoce della Commissione Ue, «garantiscono il fabbisogno finanziario attuale dello stato greco». Dopo il ministro delle finanze tedesco, però, anche Josè Manuel Barroso è tornato all'attacco di Atene. «Se un membro del club non rispetta le regole, è meglio che se ne vada dal club», ha dichiarato fuori dai denti il presidente della Commissione europea, aprendo ufficialmente all'ipotesi di un'uscita della Grecia dalla moneta unica.

È questo lo scenario su cui ieri si è abbattuta la catastrofica profezia di Standard and Poor's. Nei prossimi 4 anni, secondo l'agenzia di rating americana, è attesa una « tempesta perfetta» da 35mila miliardi di euro sui mercati finanziari. Risultato di una combinazione di ingente bisogno di capitali delle società, riduzione della leva finanziaria delle banche e difficoltà economiche di Usa ed Europa. Nel dettaglio, le società avranno bisogno di circa 30mila miliardi di dollari per rifinanziare i bond in scadenza e i prestiti erogati nel periodo pre-crisi, più altri 13-16 mila miliardi di dollari di nuovi capitali richiesti per finanziare la crescita. Quanto alla banche e ai mercati di capitali, questi dovrebbero essere in grado di rifinanziare il debito in scadenza, ma la redistribuzione del credito potrebbe limitare i nuovi finanziamenti per supportare la crescita. In questo contesto ci saranno Governi e banche centrali con meno opportunità di prevenire i problemi derivanti da future carenze di liquidità.

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