L’Italia va a rotoli, ma non sarà un Natale dimesso. Certo, ci sono mille crisi aziendali aperte e nessuna risolta, centinaia di migliaia di lavoratori appesi a un filo, decine di migliaia di risparmiatori col fiato sospeso, la spesa pubblica che continua a correre, riforme che non arrivano e balzelli che invece si preparano a svuotarci le tasche. Ma le palle, quelle non mancano davvero. A prescindere dal periodo e dalla necessità di addobbare gli alberi, il governo continua a spararle a ciclo continuo.
Tra le ultime c’è quella clamorosa del premier Giuseppe Conte che venerdì scorso, nel primo pomeriggio, dichiarava senza battere ciglio che «il nostro sistema bancario è in buona salute e nessun istituto ha bisogno di interventi». Solo poche ore dopo la Banca d’Italia ha commissariato la Popolare di Bari. E il giorno successivo il governo ha varato il decreto per puntellare l’istituto con 900 milioni di soldi dei contribuenti. In questo modo, ha assicurato Luigi Di Maio, «salveremo i risparmiatori». Altra palla. Gli unici al sicuro, per ora, sono i correntisti sotto i 100mila euro (garantiti dal Fondo interbancario). Tutti gli altri, a partire dai 69mila azionisti (che hanno già perso 1,5 miliardi con la svalutazione del titolo) fino agli obbligazionisti rischiano di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano.
Il primato della palla più grossa, però, spetta sicuramente alla favola che il governo continua a raccontarci sulla legge di bilancio: «Non è la manovra delle tasse». Ebbene, su circa 32 miliardi di interventi 3 sono affidati alla spending review, altri 16 vengono recuperati dal deficit (che sono balzelli futuri). E gli altri 13? Il governo ha tentato di nascondere un po’ di microtasse sotto il tappeto, con rinvii, sforbiciate e retromarce dell’ultima ora. Ma la sostanza cambia poco. Circa 13 miliardi di coperture arrivano da nuove entrate (compresi 3 miliardi derivanti dal contrasto all’evasione). La plastica sarà più cara, le bibite si pagheranno di più, le imposte sulle auto aziendali e sulle vincite del gioco aumenteranno e l’Ires per le aziende dei trasporti pure. E se la consolazione è che abbiamo scampato il pericolo di 23 miliardi di Iva in più, è assai magra. Il prossimo anno, infatti, si riparte da circa 20 miliardi di clausole di salvaguardia da sterilizzare. E non è il conto del Papeete, ma l’eredità dei governi precedenti (a partire da Monti) a cui il governo giallorosso ha aggiunto circa 1,2 miliardi di aumenti di accise sulla benzina per sfoltire la pioggia di balzelli che erano stati previsti nella versione originale della manovra.
Le palle raggiungono livelli industriali nella gestione delle varie crisi aziendali. Le scadenze per il salvataggio dell’Alitalia sono state rinviate otto volte. E prima di ognuna delle otto proroghe i ministri di turno ci hanno assicurato che sarebbe stata l’ultima. Decine di vertenze erano state dichiarate chiuse con successo (da Whirlpool a Mercatone Uno), salvo poi riaprirsi improvvisamente con effetti devastanti. L’ultima bufala è quella sull’Ilva. Lo scorso anno il governo aveva firmato un accordo con zero esuberi. Ora sta trattando per tentare di far scendere i 4.700 annunciati da Arcelor Mittal.
Quanto alle riforme, sull’autonomia sembrava cosa fatta. Solo qualche settimana fa il ministro Boccia annunciava l’intesa: «Entro l’anno si fa». Una palla. Sia il Pd sia M5S non ne vogliono sapere. Stessa sorte per la riforma della giustizia. Le modifiche alla prescrizione si faranno solo contestualmente all’introduzione di norme per velocizzare i processi, assicuravano tutti a Palazzo Chigi. Dal primo gennaio la sforbiciata della prescrizione entrerà in vigore. Del resto non c’è traccia.
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