venerdì 20 dicembre 2019

Coca Cola minaccia chiusure per colpa delle tasse "verdi"

Per Roberto Gualtieri c’è «un eccesso di catastrofismo». La sugar tax, ha spiegato ieri il ministro dell’Economia in audizione alla Camera, «esiste in molti Paesi dove non sono incorsi crolli dell’occupazione». Mentre la plastic tax è stata ridotta dell’80%, ha proseguito il titolare di Via XX Settembre, e ora il governo sta «definendo un piano nazionale con le parti interessate». Tra una lite e l’altra con chi, nella stessa maggioranza, si è opposto ai nuovi balzelli, il governo ha tentato in tutti i modi di nascondere sotto il tappeto le nuove imposte. Una sforbiciata di qua, uno slittamento di là. Ma il rincaro fiscale, per quanto ammorbidito, è ancora lì. E le industria non sembrano per nulla d’accordo con le parole tranquillizzanti del ministro dell’Economia.

Non lo è Assobibe, che anche ieri, come ormai fa tutti i giorni, ha lanciato l’allarme, ricordando a Gualtieri che la sugar tax è stata ritirata dalla Danimarca e dalla Finalndia proprio a causa dei danni economici e sociali prodotti. E non lo è sicuramente la Coca Cola, una delle più grandi multinazionali presenti in Italia, che ieri ha annunciato provvedimenti immediati per fare fronte all’impatto della stangata fiscale. Per ora, in attesa di valutare l’impatto della nuova formulazione (la sugar taz entrerà in vigore ad ottobre con 10 centesimi al litro o 25 per ogni chilo di prodotto, mentre la plastic tax prevede 45 centesimi di euro al chilo dal luglio 2020) l’azienda ha già bloccato i 49 milioni di investimenti e tutte le assunzioni previste in Italia. Che già danno un’idea di quanto potranno essere convenienti per il Paese due balzelli che il prossimo anno porteranno un gettito aggiuntivo di soli 198 milioni.

BOOMERANG
Ma il boomerang lanciato dal governo potrebbe provocare danni di ritorno ben più gravi. Come ha spiegato il portavoce del colosso Usa in Italia, Giangiacomo Perini, l’impatto sui conti sarà di almeno 160 milioni di euro. Questo significa che sono a rischio anche gli stabilimenti e gli attuali 2mila dipendenti. Il primo a farne le spese, tanto per dare un’altra botta al Mezzogiorno dopo l’Ilva e la Whirlpool, potrebbe essere quallo di Marcianise in Campania. Fabbrica più vulnerabile rispetto a quella veneta di Nogara (la più grande d’Europa, dove recentemente sono stati investiti 30 milioni destinati alla linea asettica, e a quella di Oricola in Abruzzo, che produce solo bevande gassate in Pet.
Ma non è tutto. Per risparmiare, ha aggiunto Pierini, il gruppo potrebbe anche dover essere costretto a rinunciare alle arance rosse di Sicilia a marchio Igp uitilizzate per la preparazione della Fanta. «Dovremo ripiegare», ha detto, «sull’acquisto di prodotti dall’estero».
Quello che il governo, in un delirio ideologico difficilmente comprensibile, non ha calcolato è che le tasse non si abbatteranno su un settore in espansione né su un fenomeno sociale in crescita. «Negli ultimi dieci anni», ha ricordato Perini, «il consumo di bibite gassate è calato del 25%, soprattutto tra i giovani».
Insomma, per convincere i ragazzi a non ingozzarsi di bevande succherate non c’era certo bisogno dello spauracchio fiscale. Ci sta già pensando il mercato, che ora in un solo anno potrebbe crollare addirittura del 10%. I giovani, forse, berranno un po’ meno bibite, ma molti dei loro genitori dovranno trovarsi un nuovo lavoro. Ne valeva la pena?

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