mercoledì 27 agosto 2014

Buttati tre miliardi per chiudere Alcoa

Su un piatto della bilancia ci sono circa 3 miliardi di incentivi pagati dai contribuenti in bolletta, sull’altro circa 1000 lavoratori (considerato l’indotto) adesso ufficialmente senza lavoro. La decisione formalizzata lunedì dall’Alcoa di chiudere definitivamente lo stabilimento sardo di Portovesme mette fine ad un’agonia iniziata nel 2012 con lo stop della produzione, ma traccia anche il bilancio fallimentare della politica industriale dei governi che si sono susseguiti negli ultimi venti anni.

Una politica dalla lungimiranza assai scarsa, che al posto delle riforme per semplificare la vita alle imprese e del taglio dei costi dell’energia ha tentato di puntellare il polo industriale del Sulcis Iglesiente a colpi di aiutini pubblici alle grandi multinazionali che denunciavano la mancanza di competitività. Solo per convincere l’Alcoa a non fuggire dalla Sardegna il governo ha messo in campo circa 3 miliardi di euro di incentivi energetici dal 1995 al 2012. E altrettanti sarebbe stato disposto a spenderne per far restare il colosso Usa dell’alluminio a Portoveseme fino al 2015. Ipotesi che non si è verificata solo perché l’Alcoa ha ritenuto comunque non conveniente lo scambio. A fornire le risorse, inutile dirlo, non è stata qualche operazione di spending review ma il consumatore italiano attraverso il pagamento degli oneri di sistema previsti nelle bollette.

Lo stesso consumatore, sulla base di un’altra più recente genialata del governo, potrebbe pagare per i prossimi venti anni anche lo sconto a chi costruirà una centrale termoelettrica a carbone pulito nel Carbosulcis. Il decreto Destinazione italia approvato qualche mese fa garantisce infatti l’acquisto a prezzo maggiorato da parte del Gse dell’energia prodotta. L’operazione, ha detto fuori dai denti il presidente dell’Autorità per l’energia, Guido Bortoni, «si configura come un ulteriore onere di natura parafiscale, dell’ordine di 60 milioni l’anno, caricato sulle bollette elettriche». Evviva.
Ma il bello è che il risultato, prima o poi, è quello decretato nei giorni scorsi dall’Alcoa. Ovvero: tutti a casa. In altre parole, i mille disoccupati, che entreranno in mobilità dal primo gennaio, si trovano con un pugno di mosche in mano malgrado le ingentissime risorse pubbliche finanziate dalla collettività. Un epilogo simile è quello che rischia di riproporsi  a Portovesme, dove sembra ancora in corso, tra smentite e incontri non confermati, la trattativa con gli svizzeri della Glencore, che sarebbero interessati a rilevare l’impianto lasciato dall’Alcoa.

La telenovela va avanti dal 2012, praticamente da quando gli americani hanno annunciato l’addio. E anche in questo caso al centro delle trattative c’è ancora il costo dell’energia. Finora, però, gli svizzeri hanno sempre rifiutato le pur generose proposte di sconto messe sul tavolo sia dal governo Monti sia da quello Letta. Difficile prevedere come giocherà adesso la partita Matteo Renzi. Considerato che a consigliare il ministro Federica Guidi c’è Carlo Stagnaro, cresciuto a pane e liberismo nell’Istituto Bruno Leoni e da sempre fustigatore degli incentivi energetici, la speranza è  che allo Sviluppo, per una volta, la spremitura del contribuente non venga ritenuta un’opzione.

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