A poche settimane dalle elezioni per il rinnovo del governo tedesco il caso Grecia piomba come un macigno sulle speranze di Angela Merkel di ottenere un secondo mandato. Al punto che la cancelliera in questi giorni sta provando a scaricare la patata bollente sull’ex premier Gerard Schroeder, accusandolo di aver portato Atene nell’euro senza preoccuparsi dei suoi conti in disordine.
Il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ieri ha promesso ai tedeschi che se la Cdu vincerà il confronto elettorale non ci saranno mai più salvataggi come quello greco. «Un’Europa più forte», ha detto in un’intervista alla Cnn, «significa che ciascuno deve fare la propria parte e non chiedere soldi agli altri».
Nelle stesse ore, però, lo stesso ministro sulle pagine del quotidiano Rheinische Post ha finalmente quantificato, dopo diversi giorni di imbarazzi e smentite del governo e della Merkel, il volume di un terzo pacchetto di aiuti alla Grecia. Schaeuble ha definito «non irrealistica» la cifra circolata di 11 miliardi, cercando però di tranquillizzare l’elettorato sulla necessità del nuovo esborso. «L’attuale programma di aiuti», ha detto il ministro, «scade a fine 2014 per questo, a metà anno, dovremo verificare se la Grecia rispetta i suoi obblighi, se ci sarà un avanzo primario e se ci sarà ancora bisogno di sostegni».
In realtà, secondo quanto dichiarato alla Bild dall’esperto di bilancio del partito socialdemocratico (Spd), Carsten Schneider, gli aiuti non solo saranno inevitabili, ma saranno anche più robusti di quanto previsto. «Ai circa 11 miliardi di euro entro il 2015», ha spiegato Schneider, «si dovrà infatti aggiungere un’altra somma a due cifre nel periodo 2015-2020».
I timori dell’esponente socialdemocratico sono ovviamente alimentati anche dal clima pre elettorale, ma sembrano confermati pure dalle indiscrezioni che circolano ad Atene sull’andamento del piano di risanamento. Secondo quanto riferito dal quotidiano To Vima dopo il disastroso risultato del primo trimestre, con il debito certificato da Eurostat salito al 160,5% del pil in crescita del 24,1% sul 2012, nel secondo trimestre la situazione sarebbe ancora peggiorata dimostrando il clamoroso fallimento delle politiche di austerity imposte da Bruxelles al governo di Atene. Il buco nei conti pubblici della Grecia avrebbe infatti raggiunto a giugno 2013 i 321 miliardi di euro, vale a dire il 180% del pil, con un balzo di 18 miliardi rispetto al 2012. Si tratta di un’accelerazione che, seppure in qualche modo prevista dalla troika, porta il debito greco sopra i 300 milioni del 2009 (il 129,7% del pil), quando è scoppiata la crisi.
In altre parole, quattro anni di feroci aumenti di tasse e riduzioni di spesa a cui la Grecia è stata sottoposta per soddisfare le esigenze politiche della cancelliera Merkel hanno portato ad un indebitamento che, malgrado la svalutazione del 53% (l’haircut da circa 100 miliardi) avvenuta nel marzo del 2012, è più alto di prima.
A certificare la clamorosa inefficacia del consolidamento fiscale selvaggio come rimedio anticrisi ci ha pensato per l’ennesima volta in questi giorni il Fondo monetario internazionale. Si tratta del terzo mea culpa arrivato dall’organismo di Washington nell’arco di pochi mesi. Dopo la prima clamorosa ammissione dello scorso inverno del capo economista Olivier Blanchard, l’Fmi è tornato sull’argomento in altri due studi, uno a maggio e uno, fresco di stampa, un paio di giorni fa. La tesi è sempre la stessa. Vale a dire che gli effetti negativi sulla crescita delle manovre di bilancio lacrime e sangue, il cosiddetto moltiplicatore fiscale, sono stati molto più devastanti del previsto.
La posizione degli economisti del Fondo, nettissima nei primi due casi, si è solo leggermente smussata nell’ultimo paper in cui si sostiene comunque che le politiche di austerity, soprattutto se applicate in Paesi fortemente indebitati, provocano più danni di quanti problemi risolvano. Nel caso specifico della Grecia, però, l’Fmi corregge il tiro, spiegando che accanto ad una sottovalutazione del moltiplicatore fiscale c’è stato anche un eccesso di ottimismo sulle stime di crescita.
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