mercoledì 15 ottobre 2014

"Violati i patti sul deficit". L'Europa vuole bocciarci

Dai 2 agli 11 miliardi di correzione aggiuntiva dell’indebitamento. Sono queste le cifre che ancora ballano nella trattativa con l’Europa sulla legge di Stabilità. Trattativa che secondo fonti vicine alla Commissione Ue non è affatto in discesa. Ieri, al termine della riunione Ecofin di Lussemburgo (che ha tra l’altro approvato l’accordo per la fine del segreto bancario nell’Ue dal 2017), il ministro dell’Economia ha confermato che per il 2015 è previsto un aggiustamento strutturale del deficit  dello 0,1%. «Il Def », ha spiegato Pier Carlo Padoan, «va nella direzione giusta. A un ritmo più lento, ma accelerando sulle riforme». Il ritardo, rispetto a quanto si prevedeva all’inizio dell’anno, è stato dovuto al fatto che «le previsioni di crescita per il 2015 erano dell’1,1% superiori».

Resta da capire se Bruxelles si accontenterà di tali giustificazioni. Alla sicurezza che in queste ore trapela dagli ambienti di Palazzo Chigi Padoan preferisce la cautela. «È presto per dire che bisogna correggere qualcosa che non è ancora finalizzato», ha detto, «ma sono fiducioso, perché il nostro rapporto con la Ue è molto costruttivo». Il ministro ha poi ribadito che l’Italia «è in regola con i vincoli europei e usa la flessibilità nelle regole».
Parole che non riescono a mascherare fino in fondo il timore che qualcosa vada storto. Ipotesi che continua a circolare con insistenza a Bruxelles. Secondo quanto riferiscono a Reuters fonti Ue, il progetto di bilancio italiano sarà giudicato anche sulla base di un criterio di aggiustamento strutturale «di almeno lo 0,7% del pil». In questo scenario lo scarto percentuale con le richieste della Commissione sarebbe valutato «come una seria violazione» delle raccomandazioni e potrebbe quindi portare a «un rinvio a Roma della legge di Stabilità, ed eventualmente all’apertura di una procedura per debito eccessivo».

Questa versione sembrerebbe contraddire in parte le ultime indiscrezioni, secondo cui il terreno della trattativa tra governo e Commissione sarebbe quello di un aggiustamento strutturale dello 0,25%, che richiederebbe un intervento ulteriore nella manovra sui 2-2,5 miliardi.
In realtà, i problemi sarebbero sia sul 2014 sia sul 2015. Nelle raccomandazioni specifiche per i Paesi con squilibri macroeconomici eccessivi diffuse dalla Commissione a giugno, infatti, si chiedeva all’Italia uno «sforzo aggiuntivo» verso «l’aggiustamento strutturale richiesto dello 0,7% del pil» già per quest’anno. Mentre per il 2015 la richiesta era dello 0,5%. Percentuale che sarebbe poi scesa allo 0,25% sulla base delle rilevazioni congiunturali negative dell’eurozona effettuate questa estate dalla direzione generale affari monetari della Commissione. Rispetto a questi parametri, il Def presentato a fine settembre prevede un aggiustamento dello 0,3% per il 2014 e dello 0,1% per il 2015.

Tutto è ancora da verificare e da discutere. Ma se le indiscrezioni che filtrano da Bruxelles dovessero rivelarsi reali, il governo potrebbe dover alzare l’asticella delle risorse destinate all’abbattimento del deficit di oltre 11 miliardi. Un’operazione che manderebbe chiaramente in fumo l’idea  di utilizzare lo scostamento tra l’indebitamento  tendenziale per il 2015 del 2,2% e quello fissato dalla nota di aggiornamento del Def al 2,9%. Dalla possibilità di portare il deficit subito sotto la soglia del 3%, infatti, uscirebbero esattamente 11 miliardi, quelli che mancano per accontentare l’Europa.
Per evitare brutte sorprese sembra che Padoan abbia fatto in modo di infilare nelle piege della legge di Stabilità circa 2,5 miliardi di euro che potrebbero essere piazzati sulla riduzione del deficit se le cose dovessero mettersi male. «C’è un cuscinetto, come valvola di sicurezza», ha confermato ieri sera il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Ma è chiaro che se le richieste di Bruxelles fossero più stringenti (e il verdetto arriverà solo a novembre) il governo dovrà rinunciare a qualche intervento annunciato. È proprio per evitare passi falsi che Renzi ieri pomeriggio ha deciso di alzare il telefono per sondare l’orientamento del neo presidente della Commissione Jean Claude Juncker. Mossa che, però, potrebbe non essere sufficiente. Se, come è possibile, la nuova Commissione non rispetterà i tempi di insediamento il primo novembre, la valutazione delle manovre sarà fatta solo dal commissario superigorista, nonché fedelissimo della Merkel, Jyrki Katainen.
Una mano al premier è arrivata ieri sera da Moody’s. Secondo l’agenzia di rating, che ha apprezzato «gli sforzi di riforma del governo», «la solida posizione di bilancio» consente all’Italia di avere «più tempo per attuare riforme a favore della crescita».

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