Persino Confcooperative, per una volta isolandosi dall’Alleanza che le unisce alla Legacoop dell’ex presidente ed ora ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha deciso di scagliarsi contro il tfr in busta paga. «Il provvedimento», ha detto il presidente Maurizio Gardini, «interesserebbe oltre il 90% delle pmi. La cooperazione sarebbe interessata per 400.000 occupati con un impegno complessivo di 160 milioni di euro. Troppo per piccole e micro imprese sottocapitalizzate e provate da una crisi interminabile, soprattutto, se non bilanciate da misure compensative».
Ma il duello rovente è quello che passa sull’asse Confindustria-governo. Dopo l’avvertimento del rappresentante dei piccoli di Viale dell’Astronomia e di tanti altri esponenti del mondo imprenditoriale, ieri contro Matteo Renzi (che si è limitato a dire «ne stiamo discutendo») è arrivato l’affondo in prima persona di Giorgio Squinzi. «Nella fase in cui siamo nulla che possa nuocere ulteriormente alla vita delle imprese», ha detto il presidente di Confindustria, «può essere tollerato». Altro che rilancio dei consumi. «L’unico reale beneficiario di questa operazione», ha spiegato, «sarebbe il fisco. Mentre per le imprese sparirebbero 10-12 miliardi».
Una bocciatura senza appello, quella di Squinzi, che per qualcuno rientra nel quadro di uno scontro che si starebbe consumando su più fronti. La freddezza che ultimamente gli industriali stanno riservando al governo sarebbe il frutto di una frattura che va al di là dei singoli provvedimenti. E che sarebbe alimentata anche dal tentativo di Renzi di smarcarsi dalle pressioni esercitate tradizionalmente dai vertici di Viale dell’Astronomia su Palazzo Chigi. In questa partita a scacchi, secondo alcuni, rientrebbero anche le grandi manovre messe in atto sottotraccia dai nuovi manager delle grandi partecipate di Stato nominati pochi mesi fa dal premier. Secondo indiscrezioni non confermate i colossi pubblici Eni, Enel, Finmeccanica, Poste e Ferrovie avrebbero infatti creato un fronte comune dentro Viale dell’Astronomia determinato a ridisegnare gli equilibri interni all’associazione anche a costo di ipotizzare, se si rendesse necessario, una clamorosa uscita in blocco seguendo le orme della Fiat di Marchionne. Tra le questioni calde c’è l’antica polemica sui contributi associativi di cui i grandi colossi di Stato lamentano di portare quasi tutto il peso. Ma l’accusa generale mossa a Squinzi è quella di aver spostato l’asse dell’azione confindustriale lontano dagli interessi delle grandi imprese. Un atteggiamento che sarebbe confermato anche dalla sortita sul tfr, arrivata non a caso dal Forum della piccola industria a Napoli.
È anche per questo, forse, che allo stop sulla liquidazione in busta paga Squinzi ha affiancato ieri un appello a Renzi a non mollare sull’articolo 18. «Non è una legge a creare occupazione», ha detto Squinzi, «però, se si è deciso di cambiare, se si vuole eliminare un disincentivo evidente per qualsiasi investitore, allora non si deve esitare ora che si è ormai all'ultimo miglio. Facciamolo davvero, senza mediazioni che tolgano coraggio e senso al provvedimento».
Poi Squinzi ha cercato di riallacciare il dialogo politico con il premier invitandolo a «lavorare insieme», a puntare «su dieci grandi progetti per crescere e per tornare alla fiducia». Ma per farlo, ha precisato il leader di Confindustria, «deve esserci un luogo in cui ci si guarda in faccia e si decide».
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