La prima domanda è d’obbligo. Conferma di aver detto: “È finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate”?
«Ho trovato l’episodio sgradevole. Origliare una conversazione privata e pubblicarne spezzoni non mi sembra serio».
Quindi lei, il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, pensa che il nucleare sia solo una questione elettorale?
«Mi scusi, ma non è esattamente questo ciò di cui discutevo. Oggi l’incidente di Fukushima, di cui non sono ancora chiare le conseguenze, sta imponendo a tutto il mondo di valutare meglio il problema della sicurezza. Credo sia una comprensibile preoccupazione di tutti e per il governo la priorità assoluta non può che essere la salute dei cittadini. La specificità italiana è che di questi temi si discute con un referendum alle porte. Tenere la consultazione sotto l’onda emotiva degli eventi rischierebbe di mettere la pietra tombale sul nucleare italiano. Una fonte di energia che è stata ritenuta necessaria per lo sviluppo del paese».
Ieri Paolo Romani ha fatto un considerevole passo indietro: condivide la posizione del ministro dello Sviluppo?
«Non c’è una posizione di Romani ed una della Prestigiacomo. C’è una riflessione del governo nell’ambito dell’Europa che oggi privilegia l’esigenza di avere piena consapevolezza delle condizioni di sicurezza delle centrali. Sarebbe irresponsabile ignorare le sempre più gravi notizie che arrivano dal Giappone e ignorare l’inquietudine diffusa nell’opinione pubblica».
Non crede che queste oscillazioni diano un colpo mortale alle politiche energetiche del governo?
«Lo scenario che sta emergendo impone una doverosa analisi di quanto accaduto e di cosa non ha funzionato; la scelta di andare avanti o meno sul nucleare non può che essere fatta a valle di tale analisi. E’ invece l’imminente referendum che può rappresentare un colpo mortale per il nucleare. La pausa invocata lascia aperte tutte le opzioni e consente una valutazione più attenta».
Perché, secondo lei, l’Italia ha subito rimesso in discussione la sua scelta, mentre Francia, Inghilterra, Usa, Spagna e persino la Merkel, hanno detto chiaramente che non si torna indietro?
«Siamo stati crocefissi da gran parte dei media perché, a loro dire, noi, diversamente da Francia e Germania, non cambiavamo idea sul nucleare. Oggi lei dice che, diversamente da altri, abbiamo cambiato idea. La realtà è che la nostra situazione è unica fra i grandi paesi occidentali perché non abbiamo le centrali e quindi discutiamo di un programma. E’ difficile paragonare due situazioni così differenti. Io credo che stiamo agendo con la cautela necessaria».
Non pensa che si stia facendo lo stesso errore del 1987, sull’onda della tragedia di Cernobyl?
«E’ questo il rischio che vogliamo evitare. La pausa di riflessione, a reattori di Fukushima in fiamme, è proprio finalizzata ad evitare che l’emotività prenda il sopravvento. Ma lo ha sentito Beppe Grillo da Santoro? E ricorda le invettive del primo giorno? Questi non hanno aspettato nemmeno che l’onda dello tsunami si esaurisse per cominciare la loro campagna contro il governo».
Se alla fine si decidesse di mettere una pietra sopra al nucleare come pensa di riequilibrare il mix energetico in Italia, diminuire la dipendenza dall’estero e alleggerire i costi della bolletta?
«La sua è la domanda chiave, quella a cui dovrebbero rispondere in primis i promotori del referendum. Certamente se l’Italia dovesse abbandonare la prospettiva nucleare sarà necessaria una profonda rivisitazione di tutto il nostro piano energetico e una attenta valutazione dei costi nel medio e lungo termine».
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