martedì 4 ottobre 2011

Che statista la Marcegaglia. Ora vuole la patrimoniale


Liberalizzazioni, privatizzazioni, tagli alla spesa, sgravi fiscali, pensioni. Nel pacchetto di proposte presentato ieri dalle imprese c’è molta Europa e buon senso. Ma anche tanta sinistra, a partire dalla solita patrimoniale e da una stretta sui pagamenti in contanti che ci riporta alla Visco-Bersani del 2006. È questo il randello che la santa alleanza formata da Confindustria, Abi, Ania, Cooperative e Rete Imprese ha deciso di brandire contro il governo, sostenendo che «il tempo è scaduto», che ora è il momento del «coraggio» e che, in assenza di risposte immediate, i tavoli di confronto di Palazzo Chigi sui provvedimenti economici resteranno senza interlocutori. Di sicuro, senza la delegazione guidata da Emma Marcegaglia, che ha usato le parole più dure, spiegando di aver ricevuto il mandato dalla giunta di affondare il coltello senza esitazioni.

Il “manifesto per salvare l’Italia” sottoscritto da industriali, banche, assicurazioni, cooperative e una parte consistente del mondo delle pmi è rivolto all’esecutivo ed è, ovviamente, un mix delle varie sensibilità che hanno contribuito alla stesura del documento. Ma la sensazione è che il lavoro di sintesi non abbia trascurato una serie di passaggi che sembrano fatti apposta per tirare dalla propria parte opposizioni e sindacati.
L’impianto centrale ricalca in qualche modo i punti contenuti nella lettera inviata al governo dalla Bce. Spiccano le proposte per liberalizzare e semplificare le attività economiche, i trasporti, i servizi pubblici locali e il mondo delle professioni. Una parte è dedicata ad abbattere la spesa pubblica attraverso un serrato esercizio della spending review e un’altrettanto seria riforma delle pensioni (in particolare, donne a 65 anni dal 2012 e abolizione dei trattamenti di anzianità). Le imprese chiedono poi un maggiore sforzo sulla dismissione del patrimonio pubblico.
Più articolata, e discutibile, la parte fiscale. Quella relativa agli sgravi prevede alleggerimenti di circa 4 miliardi di gettito tra Irap, Ires, decontribuzione premi di produttività, crediti d’imposta per la ricerca e di circa 2 sull’Irpef.

Dove trovare i 6 miliardi necessari? Da una bella patrimoniale dell’1,5 per mille per i “ricchi” sopra gli 1,5 milioni di euro. Sembra innocua, ma la proposta ha già fatto balzare sulla sedia più di una categoria. Per Confagricoltura, ad esempio, la tassa «andrebbe a colpire i beni immobili». E questo, per le imprese agricole, significhrebbe «veder colpita la fonte primaria del loro lavoro». Storce il naso anche Confedilizia. E non solo perché, come è evidente, i patrimoni più visibili (e quindi più tassati), sono proprio gli immobili, ma anche perché nel documento si legge che, «in alternativa, si renderebbe necessaria una rivisitazione della tassazione sui patrimoni immobiliari». Ipotesi che per il presidente di Confedelizia, Corrado Sforza Fogliani, sarebbe addirittura più »iniqua», visto che rappresenterebbe una «patrimoniale camuffata estesa anche alle categorie sociali più deboli».
Non è in discussione, infine, la paternità della proposta di vietare i pagamenti in contanti sopra i 500 euro per combattere l’evasione fiscale. La norma, contestatissima dal mondo produttivo, era già contenuta nel decreto Visco-Bersani del 2006. Il limite passò poi a 5mila per ridiscendere a 2.500 euro con l’ultima manovra correttiva. Nei mesi scorsi l’idea (che da anni viene sponsorizzata dalle banche nell’ambito della lotta al contante) è stata rilanciata dalla Cgil.
Il manifesto, ha detto il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, merita «rispetto ed attenzione». Ma su «patrimoniale e pensioni», ha avvertito, ci sarebbero «pochi effetti» e molti «oneri» per le famiglie.


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