I lavoratori, se tutto va bene, vedranno il loro bonus da 80 euro già nella busta paga di maggio. Tutt’altra la musica per le imprese, che non solo sono state chiamate a coprire parte dei costi del provvedimento attraverso una serie di trappole fiscali, ma per avere il beneficio promesso, ovvero il taglio dell’Irap del 10%, dovranno attendere fino alla metà del 2015.
A parole la riduzione del cuneo fiscale promessa da Matteo Renzi alle aziende dovrebbe essere compensata dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. Nella realtà, però, i conti non sono tornati. Sul 2015, come ormai è noto, bisognerà aspettare la legge di stabilità, a cui il governo ha deciso di rinviare la definizione delle coperture (stimate in circa 10-12 miliardi) per trasformare in interventi strutturali le misure inserite nel provvedimento varato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri. Sul 2014, invece, il decreto peserà per 6,9 miliardi. La maggior parte dei quali saranno destinati a finanziare il bonus Irpef per i dipendenti. Le imprese, infatti, lo sgravio fiscale se lo finanziano praticamente da sole.
A regime il taglio dell’Irap del 10%, basandosi sul gettito 2013 di 24,8 miliardi, dovrebbe valere circa 2,5 miliardi. Il decreto, stando all’ultima versione, prevede che il beneficio sia operativo già dall’anno di imposta 2014. Il che significa che l’alleggerimento fiscale avrebbe dovuto concretizzarsi già in sede di acconto autunnale, che, lo ricordiamo, i vari provvedimenti sull’Imu, clausole di salvaguardia comprese, hanno fatto schizzare al 101,5%.
L’eventualità più che probabile che, tra taglio delle tasse e abbattimento dell’imponibile dovuto alla crisi, l’ammanco nelle entrate risulti troppo oneroso per il bilancio dello Stato ha però spinto il governo a correre ai ripari. In primo luogo, Renzi ha provveduto a garantire coperture aggiuntive attraverso aumenti di imposte. Complessivamente si tratta di circa un miliardo di tasse aggiuntive a carico delle imprese. Circa 400 milioni saranno prelevati dal settore agricolo, che sarà colpito da una rimodulazione (si legga riduzione) delle esenzioni Iva e Imu. Nel dettaglio, 350 milioni saranno ricavati da un incremento della tassazione sulle imprese agricole che operano nelle zone svantaggiate. Altri 21 riguardano il regime di esonero per le cosiddette imprese marginali. Mentre 33 milioni arriveranno dalla riduzione degli sgravi fiscali per le imprese agricole che producono energia da fonti rinnovabili.
All’aumento di imposte per gli agricoltori gli esperti fiscali di Renzi hanno aggiunto un giochino normativo per costringere le imprese ad anticipare allo Stato, ovviamente senza interessi, 600 milioni di euro. Si tratta della disposizione inserita nel decreto Irpef che prevede il pagamento in un’unica rata dell’imposta sostitutiva per la rivalutazione dei beni aziendali. L’articolo 4 del dl va infatti a sostituire il comma 145 dell’articolo 1 della legge di stabilità dello scorso anno che aveva introdotto un regime fiscale agevolato per l’adeguamento dei valori dei beni aziendali. La norma varata dal governo Letta prevedeva un’aliquota del 12% per i beni non ammortizzabili e del 16% per quelli ammortizzabili da versare in tre rate annuali. Una dilazione studiata appositamente per rendere più attraente la norme, poco conveniente sotto il profilo delle aliquote rispetto a disposizioni analoghe applicate in precedenza. Il decreto Irpef ha però modificato retroattivamente la misura prevedendo che tutte l’intero importo sia invece versato entro il 16 giugno. Obolo che non modificherà il termine a partire dal quale l’azienda potrà dedurre i maggiori ammortamenti, che scatterà comunque alla fine del triennio. La scorrettezza è evidente al punto che anche il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, rispondendo alle questioni sollevate dall’economista Mario Seminerio, si è detto «parecchio interdetto», definendo la norma «decisamente poco ortodossa».
A fronte del miliardo aggiuntivo caricato sulle spalle delle imprese Renzi ha anche pensato bene di diminuire l’impatto sul gettito del 2014 provocato dal taglio dell’Irap, intervenendo sulle modalità del versamento dell’acconto. Due le strade che si troveranno davanti le imprese. La prima, più indolore per il governo, è quella di calcolare l’anticipo d’imposta con il metodo storico, ovvero pagando la stessa somma che si è pagata lo scorso anno. Salvo poi ricalcolare il tutto insede di conguaglio a giugno 2015 applicando la nuova aliquota ridotta. L’altra strada è quella di scegliere il calcolo previsionale. In pratica, l’impresa fa una stima del valore della produzione nell’anno in questione e su quella stima calcola il corrispettivo balzello. In questo caso l’aliquota Irap dovrebbe essere quella in vigore nel 2014, ovvero quella che, in seguito alla sforbiciata prevista dal decreto, scende dal 3,9 al 3,5%. Pur essendo questa la cornice normativa, nel decreto è stato inserita una sorta di clausola salvagettito in base alla quale, transitoriamente e solo per l’acconto 2014, l’aliquota sarà al 3,7%. Risultato: invece di 2,5 miliardi le imprese risparmieranno solo 700 milioni. Somme ampiemente neutralizzate dai contestuali rincari.
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