martedì 28 marzo 2017

In rosso da 30 anni Alitalia ci è già costata oltre 7 miliardi

I dettagli tecnici sono ancora allo studio. Ma sembra ormai certo che per garantire la liquidità necessaria a sopravvivere finché non sarà messo in pista il nuovo piano industriale, la Cdp (partecipata all’80% del Tesoro) staccherà ad Alitalia un assegno da 200 milioni di euro. Finanziamento che, vista la situazione critica della compagnia, sarà garantito direttamente dallo Stato.
Al di là della formula che sarà utilizzata per evitare gli strali della Ue e la violazione dello statuto della Cassa depositi, la sostanza è che per l’ennesima volta i contribuenti saranno chiamati a farsi carico dei guai del vettore aereo.

Una prassi ormai consolidata a cui, però, resta difficile abituarsi. Anche perché il conto complessivo degli oneri pubblici diretti e indiretti messi in campo nel corso degli ultimi decenni per puntellare il traballante business della compagnia è già salatissimo. Dal 1974 al 2007, ultimo bilancio prima dell’amministrazione straordinaria e della cosiddetta operazione Fenice che avrebbe dovuto rilanciare Alitalia, lo Stato azionista, tra aumenti di capitale, contributi, garanzie e altri costi, ha collezionato esborsi per 5,39 miliardi a valori correnti del 2014. Costi, secondo un dettagliato dossier elaborato lo scorso anno dal centro studi di Mediobanca, in gran parte dovuti alla copertura delle ingenti perdite inanellate dall’allora campagnia di bandiera praticamente ogni anno a partire dalla fine degli anni Ottanta. Dal 1974 al 2007 Alitalia ha chiuso il bilancio in deficit 20 volte su 34, producendo un buco cumulato di 4,4 miliardi di euro.

Un passivo che lo Stato, sempre nel periodo preso in esame da Piazzetta Cuccia, è riuscito solo in parte a compensare con collocamenti di titoli e dismissioni (971 milioni di euro) e un po’ di dividendi (242 milioni). Aggiungendo 862 milioni di imposte, il saldo netto della gestione Alitalia per l’azionista Tesoro è stato negativo per 3,32 miliardi di euro.
Il vero salasso è, però, quello che arriva nel 2008. Nel nome dell’italianità e della pace sociale con i sindacati, il governo guidato da Silvio Berlusconi decide di voltare le spalle ad Air France, preferendo un salvataggio pilotato con la cessione del vettore ripulito dai debiti ai «capitani coraggiosi» di Cai, guidati da Roberto Colaninno. L’operazione si rivela un bagno di sangue. Tra prestito ponte, ritiro delle obbligazioni convertibili  e partecipazione al ripiano del passivo dell’amministrazione straordinaria della bad company, partono circa 2,2 miliardi di soldi pubblici. Altri 75 milioni (100 a valori correnti) vengono sborsati da Poste, allora partecipata al 100% dal ministero dell’Economia.

Il resto riguarda il generoso scivolo garantito ai lavoratori in esubero. I famosi 7 anni di ammortizzatori sociali previsti dall’accordo con il governo per i circa 4mila lavoratori della vecchia Alitalia rimasti senza posto sono pesati sulla collettività per complessivi 1,9 miliardi. Circa 700 milioni sono stati utilizzati per fornire, in deroga alle leggi vigenti, la cassa integrazione a zero ore e la mobilità dal 2008 al 2015. Altri 1,2 miliardi sono, invece, serviti a rimpinguare le casse, in perenne rosso, del Fondo speciale del trasporto aereo. Lo strumento attraverso cui è stato assicurato ai lavoratori un trattamento pari all’80% della retribuzione originale invece dei tetti previsti dall’Inps per l’assegno della Cig.

In tutto, secondo gli esperti di Mediobanca, l’operazione Fenice è costata agli italiani 4,1 miliardi di euro a valori correnti. Mentre i contribuenti continuano a pagare il conto dei vecchi debiti ereditati dalla gestione commissariale, l’Alitalia privata continua a bruciare denaro a ritmi folli. Anche dopo l’arrivo degli arabi di Etihad. La compagnia ha perso 327 milioni nel 2009, 168 milioni nel 2010, 69 milioni nel 2011, 280 milioni nel 2012, 568 milioni nel 2013, 580 milioni nel 2014 e 408 milioni nel 2015. La musica non è cambiata nel 2016, dove il rosso dovrebbe attestarsi a circa 400 milioni. Un buco che ora rischia di essere tappato ancora una volta con i nostri quattrini.

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