mercoledì 1 marzo 2017

Il 5% dei contribuenti mantiene mezza Italia

Le tabelle del Dipartimento delle finanze sono compilate con certosina meticolosità. Ma i conti del fisco continuano a non tornare. Almeno sotto il profilo dell’equità. Mentre tecnici ed esperti si ostinano a storcere il naso di fronte a qualsiasi ipotesi di flat tax o di riduzione delle aliquote marginali, il sistema italiano a cinque scaglioni Irpef, presunto modello di armonia tributaria, continua a produrre macroscopiche sproporzioni redistributive.

I dati diffusi ieri dal ministero dell’Economia relativi alle dichiarazioni del 2015 parlano chiaro. A fronte di un reddito complessivo di 833 miliardi (20.690 euro in media) e di 436 miliardi di entrate dirette e indirette (+4% sul 2014), il gettito derivante dalla sola Irpef si è attestato a 176 miliardi (con un incremento del 7,7%). La maggior parte di queste tasse (circa 140 miliardi) è stata versata, come di consueto, dai lavoratori dipendenti, sia pubblici sia privati. Una categoria che complessivamente, considerando anche i pensionati, rappresenta circa l’82% del reddito dichiarato nel 2015, con una media di 20.660 per i dipendenti e di 16.870 per i lavoratori in quiescienza. Il resto dei balzelli è stato pagato da autonomi (38.290 di reddito medio) e imprenditori (19.900 euro). Non considerando gli effetti del bonus di 80 euro (che aggiungendosi ai 100 miliardi di sconti e detrazioni fiscali ha fatto salire gli incapienti che pagano zero tasse da 10 a 12,2 milioni), l’imposta netta media sul reddito risulta di 5.020 euro, dichiarata da circa 30,9 milioni di soggetti, pari al 76% del totale dei contribuenti (40,8 milioni).

Ma la spremitura dell’Agenzia delle entrate è stata tutt’altro che omogenea, come potrebbe sembrare dalla statistica di trilussiana memoria. Andando a guardare il peso dell’imposizione fiscale sulle varie classi di reddito, infatti, si scopre che il 45% dei contribuenti ha dichiarato meno di 15mila euro di reddito e ha contribuito all’Irpef totale per una quota di appena il 4,5%. Una fetta consistente del gettito, il 57%, viene versata dalle fasce di reddito tra i 15 e i 50mila euro, che spalmano però lo sforzo su una platea molto ampia, il 49%, di contribuenti. Ben più oneroso è invece il ruolo svolto dalle classi medio-alte. A dichiarare più di 50mila euro, infatti, è solo il 5,2% dei contribuenti. Ma l’esigua percentuale copre da sola il 38% dell’intera torta Irpef. E non si tratta, come si potrebbe pensare dei cosiddetti paperoni: i soggetti con un reddito complessivo di 300mila euro, si legge nei documenti del Dipartimento delle finanze, sono soltanto 34mila, ovvero lo 0,1% del totale dei contribuenti.

Seppure in misure e con proporzioni diverse, le tasse sono comunque aumentate per tutti. Rispetto ad un reddito complessivo medio aumentato dell’1,3% le entrate sono cresciute del 4%, per effetto di un incremento sia delle imposte dirette (+6,5%) sia di quelle indirette (+1,1%). A trainare il gettito è stata principalmente l’Irpef, che ha registrato un balzo del 7,7%. Anche considerando il bonus di 80 euro, che è costato 9 miliardi e circa un milione di contribuenti (su 11,9 totali)  ha pure dovuto restituire integralmente, le emtrate risultano sempre in crescita dell’1,9%.
In rialzo, malgrado il famoso blocco dei balzelli locali sbandierato dal governo, sono state anche le imposte territoriali. L’addizionale regionale Irpef si è attestata nel 2015 a circa 11,8 miliardi di euro, con un incremento del 4,1% rispetto al 2014. L’addizionale regionale media è stata di 400 euro (380 euro nel 2014). I valori più alti si sono registrati nel Lazio (620 euro) e nel Piemonte (510 euro), in relazione agli automatismi fiscali previsti in caso di deficit sanitario e attivi in entrambe le Regioni. Lievitata pure l’addizionale comunale, salita del 5% a quota 4,7 miliardi.

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