mercoledì 15 febbraio 2017

Tulliani, case e bolidi a spese degli altri

Quando, nell’estate del 2010, comparvero su Chi le foto di Giancarlo Tulliani che lavava allegramente la sua Ferrari 458 Italia (una supercar prodotta in numero limitato da 197mila euro) con la fidanzata, il sospetto che qualcosa non tornava lo ebbero in molti. Residenza monegasca, belle macchine, capi firmati.

Per un ragazzo 34enne figlio di un dipendente dell’Enel (Sergio) e di una casalinga (Francesca Frau) e conosciuto più che altro per essere il fratello di Elisabetta, compagna di Luciano Gaucci prima e Gianfranco Fini poi, sembrava un po’ troppo. Ma la notizia, come tante altre che uscirono in quei mesi, fu frettolosamente archiviata alla voce «macchina del fango». Oggi, sette anni dopo, i magistrati, disponendo un sequestro sui beni di famiglia di 5 milioni di euro, ci informano che i reati di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio posti in essere dai Tulliani dal 2008 ad oggi  hanno condotto ad un profitto illecito superiore a 7 milioni di euro.

La svolta famigliare arriva alla fine degli anni Novanta, quando Elisabetta, attraverso il figlio Alessandro, conosce Luciano Gaucci. Il legame sentimentale procurerà ai Tulliani appartamenti, quote societarie delle squadre di calcio dell’ex patron del Perugia (Sambenedettese e Viterbese) e diversi incarichi manageriali. Nel 2004 la famiglia si butta nell’immobiliare, con la costituzione della Wind-Rose International.    Ma è nel 2008, dopo il fidanzamento tra Elisabetta e Fini, che inizia la vera e propria ascesa. È in quegli anni che si moltiplicano le società off shore nei paradisi fiscali caraibici, che parte l’affare della casa di Montecarlo (acquistata da An per 300mila euro e venduta successivamente con oltre 1,2 milioni di plusvalenza), che arrivano i contratti di produzione con la Rai per la società di Francesca Frau.

Ed è in quegli anni che inizia il carosello finanziario finito nel mirino della magistratura. Il giro dei soldi, la dinamica dei fatti e il coinvolgimento degli indagati nelle operazioni di riciclaggio sono ancora oggetto di accertamenti da parte degli inquirenti, ma tutto ruota intorno a Francesco Corallo, il re catanese delle slot machine che si è arricchito grazie ad una concessione statale ottenuta nel 2004 (malgrado i precedenti penali e le accuse di rapporti con il clan Santapaola del papà Gaetano e l’intricato groviglio di scatole cinesi su cui è articolato il suo gruppo)  per installare in Italia decine di migliaia di macchinette.  È qui che le vicende di Corallo si intrecciano con quelle dell’ex deputato di An Amedeo Labocetta, finito in carcere lo scorso 13 dicembre insieme allo stesso imprenditore, a Rudolf Theodoor Anna Baetsen, Alessandro La Monica e Arturo Vespignani, con l’accusa di associazione a delinquere transnazionale finalizzata al peculato, al riciclaggio e alla sottrazione fraudolenta.  Secondo l’accusa, infatti, Laboccetta era lo sponsor della lobby Corallo nelle gare per le concessioni. E proprio l’ex An avrebbe fatto da tramite con Fini, che avrebbe conosciuto Corallo, secondo quanto riferito da Laboccetta ai pm, nel luglio 2004, quando era vicepremier, durante  una vacanza ai Caraibi a spese dell’imprenditore. Una conoscenza che, sempre stando all’ex An, avrebbe poi agevolato il business di Corallo con la pubblica amministrazione.

Ad agevolare gli affari dell’imprenditore catanese nel resto del mondo ci avrebbero, invece, pensato i Tulliani. Costoro, dopo aver ricevuto, direttamente o per il tramite delle loro società offshore, ingenti trasferimenti di denaro disposti da Corallo ed operati da Rudolf Baesten, privi di qualsiasi causale o giustificati con documenti contrattuali fittizi, avrebbero ulteriormente trasferito ed occultato, attraverso operazioni di frazionamento della provvista illecita e movimentazioni reciproche, il profitto illecito dell’associazione utilizzando propri rapporti bancari, accesi in Italia e all’estero. I Tulliani, secondo l’accusa, avrebbero fatto uscire dall’Italia circa 4 milioni, su un giro di transazioni che gli inquirenti ipotizzano aggirarsi sui 250 milioni di euro.

È in questo scenario che si inserisce la casa a Montecarlo. Sarebbe stato Fini, infatti, a proporre a Corallo di acquisire l’immobile di cui era intermediario Giancarlo Tulliani. Operazione che viene fatta all’interno di una serie di bonifici sulle società off shore per due milioni di euro. Al centro delle operazioni bancarie vi sarebbero, tra l’altro, anche 2,4, milioni ricevuti direttamente da Corallo e successivamente trasferiti da Sergio Tulliani ai figli Giancarlo ed Elisabetta. Soldi, dicono investigatori ed inquirenti, reimpiegati per acquisire immobili a Roma e in provincia. I rapporti tra i vari soggetti sono ancora da chiarire. Ma i I magistrati escludono la buona fede. «I Tulliani», si legge nell’ordinanza di sequestro, «erano consapevoli che le somme di denaro ricevute non trovavano alcuna giustificazione economica e/o finanziaria specifica e lecita, e provenivano dall’attività dell’associazione a delinquere capeggiata da Corallo».

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