sabato 3 dicembre 2016

Sotto i materassi 800 miliardi

Non è un caso che periodicamente, tra le pieghe dei provvedimenti di bilancio, spuntino misure che a vario titolo tentano di fare cassa attraverso l’imposizione fiscale sul  contante. L’ultimo tentativo del governo è di qualche settimana fa, con l’ipotesi di introdurre nell’ambito della voluntary disclosure una aliquota forfetaria del 35% per far emergere la liquidità nascosta. Il blitz è saltato all’ultimo momento, ma la politica resta sempre in agguato.

Il motivo è contenuto nero su bianco nel 50esimo rapporto del Censis, che parla di una vera e propria bolla di liquidità. Una montagna di soldi che gli italiani, spaventati dalla crisi e disorientati dalle politiche economiche di Palazzo Chigi, tengono prudentemente sotto il materasso, lasciando a secco i canali di investimento e il circuito produttivo.
La propensione al risparmio del Paese non è una novità. Già lo scorso anno l’istituto guidato da Giuseppe De Rita aveva sottolineato il forte incremento della liquidità, salita in dodici mesi del 6,3% (45 miliardi).
Ma il calcolo cumulato offerto ieri dal Censis è impressionante. Dall’inizio della crisi, alla fine del 2007, gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi. Una cifra, sottolinea l’istituto, superiore al pil di un Paese intero come l’Ungheria.

Mentre la liquidità totale di in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna.
Il problema è che il denaro non viene utilizzato in alcun modo, ma semplicemente tenuto, in attesa di tempi migliori. O peggiori. Quasi il 36% degli italiani, secondo le rilevazioni effettuate dal Censis,  tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro. Anche potendo disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Il risultato è un’incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015. Una percentuale che colloca il nostro Paese  non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), dalla Francia (21,5%), dalla Germania (19,9%) e dalla Spagna (19,7%), ma che lo riporta  ai livelli minimi dal dopoguerra. Il quadro che ne emerge, spiegano i tecnici del Censis, è quello di una «Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia».
A scatenare l’immobilismo è il pessimismo cosmico sul domani.   Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, mentre il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro. In questo scenario solo il 22,1% del campione pensa che fare investimenti di lungo periodo sia un’opzione praticabile.

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