sabato 4 giugno 2016

Incorreggibile Inps: fa la cresta pure sui disoccupati

È un coefficiente mancante quello che sta complicando la vita a circa 20mila pensionati, colpevoli solo di aver perso il lavoro a fine carriera.  Le norme in materia sono chiare. La legge 223/1991, proprio per evitare discriminazioni nel calcolo degli assegni previdenziali, ha stabilito che i periodi di fruizione della indennità di mobilità sono utili ai fini del conseguimento del diritto e della misura dei trattamenti pensionistici. Successivamente il decreto legislativo 503/1992, ha disposto che quando la disoccupazione si prolunga per più di un anno gli stipendi accreditati figurativamente, e i conseguenti contributi accantonati dall’Inps, devono essere rivalutati sulla base degli indici Istat per gli adeguamenti retributivi della categoria di appartenenza.

Fino al 2008 tutto ha funzionato a dovere. L’Istituto di previdenza ha provveduto a rivalutare le retribuzioni, a fare i suoi calcoli e a liquidare correttamente le pensioni. Dal primo gennaio 2009, però, il meccanismo si è inceppato. La macchina della burocrazia si è impantanata sul coefficiente di rivalutazione e l’Inps ha iniziato ad erogare le pensioni in «modalità provvisoria». Da allora chi ha avuto la sfortuna di andare in quiescenza si è trovato con l’assegno rosicchiato di diverse decine di euro al mese. Per un impiegato di un’azienda chimica andato in pensione il primo gennaio 2010, con 40 anni di contributi e quasi 4 anni di mobilità, l’Inca Cgil ha rilevato uno scostamento di 42 euro lordi mensili. In un altro caso, un’operaia di un azienda alimentare pensionata il primo aprile 2010 con 35 anni 5 mesi di contributi e 4 anni di disoccupazione, la somma non corrisposta dall’Inps per la mancata rivalutazione si è attestata a 20 euro lordi mensili. In un anno si tratta rispettivamente di 546 e 260 euro. Cifre che, se moltiplicate per i 20mila trattamenti non rivalutati, si trasformano in diversi milioni di euro trattenuti indebitamente dall’Inps.

Gli anni sono passati, ma la modalità definitiva, con gli importi giusti, non si è fatta vedere. Al punto che a metà 2015 il ricalcolo non era neppure iniziato. Pressato dai pensionati penalizzati, dai patronati e dalla politica, ad agosto dello scorso anno l’Istituto ha assicurato che l’intoppo era superato. «La situazione si è evoluta», ha spiegato a Repubblica il funzionario Inps, Rita Comandini, «entro la fine dell’anno per i lavoratori comuni la ricostituzione verrà fatta a livello centrale». Più incerti i tempi per gli iscritti ai fondi speciali, tra cui circa 8mila telefonici su cui l’Istituto sostiene di aver ricevuto da Telecom i dati relativi ai periodi di mobilità solo all’ultimo momento.

Iniziato il 2016 grossi passi avanti non si sono visti. La rivalutazione degli stipendi figurativi su base Istat sembrerebbe ripartita. Ma molti pensionati stanno ancora aspettando le correzioni. Dai patronati della Cisl fanno sapere che senza una richiesta specifica l’ente di previdenza difficilmente ricalcola le prestazioni. E in alcuni casi per avere indietro i soldi si è reso necessario anche il ricorso all’autorità giudiziaria. Dalla Cgil è invece arrivato nelle scorse settimane un vero e proprio allarme, rivolto principalmente ai telefonici, su cui oltre alla mancata rivalutazione si sarebbero verificati numerosi errori nei conteggi della mobilità, con abbassamenti della retribuzione pensionabile tra i 900 e i 1.500 euro, a causa dell’errato calcolo dei giorni di disoccupazione e dell’orario settimanale utilizzato per il valore figurativo della retribuzione.

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