venerdì 29 aprile 2016

Grecia, Pil e titoli di Stato. Riparte la tragedia del debito

In Grecia «c’è una una situazione molto diversa da quella dell’anno scorso, il 90% delle cose sono fatte, non creiamo un’atmosfera di crisi quando abbiamo una qualità più che mai positiva». Il commissario Ue agli affari economici, Pierre Moscovici, ha tentato ieri di gettare acqua sul fuoco, spiegando che lo slittamento dell’Eurogruppo è solo un modo per «creare le condizioni per un successo».

Ma la tensione su Atene cresce. E la sensazione del deja vu diventa ogni ora più nitida. Con i contatti istituzionali che si intensificano, le indiscrezioni che montano e la parola Grexit che torna a serpeggiare. Lo stesso Moscovici accanto alle rassicurazioni ha spiegato che il punto è trovare «un’intesa sul meccanismo di contingenza» che scatti se il target del 3,5% di avanzo strutturale 2018 fosse a rischio. Sembra un dettaglio, ma è proprio qui che si sta consumando la riapertura dello scontro tra il governo di Atene e il Fondo monetario internazionale.

L’organismo di Washington, che per ora ha escluso l’ipotesi di un nuovo haircut del debito, chiede da subito la sottoscrizione da parte del Parlamento di clausole di salvaguardia per complessivi 3 miliardi di tagli e tasse. La Grecia risponde che è un ricatto non previsto dagli accordi dell’estate 2015 e in contrasto con la costituzione, che non ammette l’approvazione di provvedimenti fiscali preventivi.
Sulla stessa lunghezza d’onda ci sarebbe anche la Commissione Ue. Stando a quanto riporta l’agenzia di stampa ellenica Ana Mpa, nel corso di una telefonata con il premier Alexis Tsipras il presidente Jean Claude Juncker avrebbe definito «irragionevoli» e «incostituzionali» le richieste dell’Fondo. Una tesi non condivisa dalla Germania, dove il Parlamento ha vincolato la partecipazione al piano di salvataggio alla presenza dell’Fmi. Ma neanche da Bruxelles, dove la fiducia sulla capacità della Grecia di centrare gli obiettivi è scarsissima. Di qui lo stallo che ha fatto saltare l’Eurogruppo previsto per ieri. Tsipras continua a chiedere la convocazione urgente di un summit straordinario. La nuova data, come spesso accade in questi casi, non è ancora stata decisa. «Una, al massimo due settimane», ha assicurato il presidente del vertice, Jeroen Dijsselbloem. Dipende da quello che accade nei prossimi giorni. «I colloqui finora non hanno fatto molti progressi. Quando ci saranno le condizioni, la riunione sarà convocata», ha spiegato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.

Nel frattempo la temperatura sale. E l’estate si preannuncia nuovamente infuocata. A luglio Atene dovrà rimborsare ai creditori 3,5 miliardi. Per farlo, sarà necessaria la tranche di 5,7 miliardi prevista dal terzo salvataggio (86 miliardi in tutto) varato la scorsa estate e su cui ora l’Fmi chiede ulteriori garanzie.
Da qui a luglio la situazione potrebbe facilmente finire fuori controllo. E, ancora una volta, a tremare per un eventuale rischio contagio ci sono tutti i Paesi periferici della Ue, a partire dal nostro. Come ha spiegato ieri da Roma il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, «l’Italia ha il secondo debito pubblico più alto d’Europa dopo la Grecia» e «i programmi sono meno ambiziosi di un anno fa, quando il deficit era stimato all’1,8% rispetto al 2,3 di oggi».
Sui titoli di Stato ieri non ci sono stati contraccolpi, con lo spread Btp-Bund che si mantiene intorno ai 122 punti. Anche le Borse, compresa quella di Atene, hanno chiuso  senza troppi scossoni.  Ma i segnali che arrivano d’Oltreoceano non sono rassicuranti. Il supporto alla stabilità che si attendeva dal pil Usa non è arrivato. Nel primo trimestre 2016 la crescita si è fermata allo 0,5% rispetto ad una previsione del +0,7% e al +1,4% degli ultimi tre mesi del 2015.

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