martedì 22 marzo 2016

Imu, Tari, Tasi e Irpef ai massimi: per i romani un conto da 3 miliardi

Fiumi di tasse per ripagare gli sprechi. È questa la sostanza del conto economico del Comune di Roma, dove ogni anno continuano ad uscire più soldi di quelli che entrano. L’ultima analisi del bilancio della Capitale è quella effettuata da Silvia Scozzese, ex assessore della giunta Marino e adesso a capo della gestione commissariale per il debito pregresso. Il calcolo è semplice. La spesa complessiva del Campidoglio si aggira sui 4,46 miliardi di euro, le entrate sono in media 4,02 miliardi. Risultato: ogni dodici mesi il Campidoglio incamera un deficit di circa 440 milioni. In teoria. In pratica il disavanzo tappato dal governo nel 2014 col salva Roma ammontava a 550 milioni di euro.

Ma il bello non è finito. Gran parte del buco è infatti provocato non da spese effettive, ma da soldi bruciati senza motivo, da sprechi. Proprio come quello degli affitti a prezzi stracciati. Un capitolo su cui abbiamo calcolato che un semplice avvicinamento dei canoni di locazioni ai valori di mercato potrebbe portare qualcosa come 250 milioni di euro aggiuntivi ogni anno.
Considerando tutte le voci di inefficienza il conto, ovviamente, sale. Secondo i calcoli effettuati dalla Commissione speciale per la riforma e la razionalizzazione della spesa dell’amministrazione di Roma Capitale, organismo naturalmente non rinnovato alla scadenza dello scorso 18 settembre) ci sono addirittura 1,1 miliardi di euro che il comune potrebbe evitare di buttare via ogni anno. Sugli immobili, ad esempio, il danno economico della «scarsa redditività» viene valutato dalla Commissione in 150 milioni di euro, a cui si aggiungono 216 milioni di mancati incassi Imu a causa dell’incuria del database catastale.

A ripianare il rosso (sia quello antico sia quello nuovo di zecca) ci pensano, inutile dirlo, i contribuenti. I debiti della gestione commissariale (nessuno sa con esattezza la cifra che secondo le rilevazioni più recenti della Scozzese oscilla sui 13,6 miliardi) vengono parzialmente scaricati su tutti gli italiani attraverso frequenti iniziezioni di liquidità provenienti dal governo centrale, che per evitare il tracollo nell’ultimo decreto salva Roma ha anche previsto un esborso di 110 milioni l’anno per i costi dovuti allo status di Capitale d’Italia. Il restante dei 500 milioni di debito che ogni anno il Comune deve ripagare alle banche (la ripartizione è 300 milioni a carico del Tesoro e 20 a carico del Campidoglio) viene direttamente dalle tasche dei romani, che pagano le addizionali locali più care del Paese. L’aliquota Irpef comunale è allo 0,9% (sopra il tetto massimo previsto per le amministrazioni non indebitate), quella regionale è al 3,3%, al massimo consentito dalla legge.

Poi ci sono l’Imu, la Tasi, la Tari e tutte le altre tasse locali innalzate fino all’inverosimile per far quadrare i conti. Complessivamente tra balzelli e imposte i romani hanno versato nel 2015 nella casse del comune la bellezza di 2,9 miliardi di euro. Una quota che rappresenta il 57% di tutte le entrate di bilancio.
I numeri parlano chiaro. Il servizio politiche territoriali della Uil si è preso la briga di mettere in fila le tasse sugli immobili e le addizionali di un famiglia mono reddito (24mila euro) con una casa di proprità di 80 metri quadri e una seconda casa di rendita media. Ebbene con gettito procapite medio di 2.726 euro Roma svetta in testa alla classifica, ben lontana dalla media nazionale che si ferma a 1.969 euro.

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