martedì 6 ottobre 2015

Canone Rai in bolletta: si pagherà di più

Ci risiamo. La trovata del canone Rai in bolletta torna a solleticare la fantasia del governo. L’idea è vecchia e logora. Ma per Matteo Renzi è diventata una sorta di fissazione. Il premier ci ha provato una prima volta nell’aprile del 2014. Subito stoppato dal presidente dell’Autorità per l’energia, Guido Bortoni, che definì l’ipotesi «impropria». L’ex sindaco di Firenze è poi tornato all’attacco nel novembre dello stesso anno, quando chiese al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, di mettere a punto un emendamento ad hoc da inserire nella legge di stabilità. Alla fine non se ne fece niente. Ma la misura è rispuntata alla fine dello scorso luglio nella riforma della Rai. L’articolo 4 votato al Senato prevedeva una delega generica al governo per ridisegnare il canone. A sventare il blitz ci hanno pensato i suoi stessi amici della minoranza Dem, che con un pugno di voti di scarto hanno fatto andare sotto il governo in Aula, scongiurando il balzello.

Nel corso dei mesi la proposta ha addirittura subito peggioramenti. Nell’ultima versione annunciata da Renzi domenica scorsa lo sconto sull’attuale canone si è ridotto a soli 12 euro (da 113 a 100 euro), mentre lo scorso anno si parlava di una forbisce compresa tra i 35 e gli 80 in base alle fasce di reddito.
Ma la sostanza dell’iniziativa è sempre la stessa. Fare cassa a spese dei contribuenti non solo, che avrebbe un senso, combattendo l’evasione (salita nel 2014 al 30,5%), ma soprattutto raddoppiando la tassa per una grossa fetta di utenti. Già, perché dietro la scusa di far pagare tutti si nasconde il principio dell’equivalenza tra allaccio della corrente e utilizzo di apparecchi elettronici per la visione dei programmi televisi, siano essi tablet, pc o smartphone. In questo modo nella tagliola finirebbero milioni di imprese e di famiglie che il canone già lo pagano una volta. Nel mirino ci sono, chiaramente, i 2,5 milioni di ditte individuali gestite da artigiani e commercianti. «Pagare meno e pagare tutti. Il principio è corretto», spiegano da Confartigianato, «ma, come spesso accade nel nostro Paese, la sua declinazione nasconde una fregatura. Inserire tablet smartphone e pc tra gli strumenti atti a ricevere il segnale Rai, e quindi soggetti al pagamento del canone, sarebbe un’assurdità. Una nuova tassa occulta che rischia di abbattersi su imprese e negozi». Ma la doppia stangata potrebbe arrivare anche per i proprietari dei 3,5 milioni di seconde case per la villeggiatura, a meno che non decidano di fare le vacanze a lume di candela.

Il balzello non sarebbe irrisorio. Secondo uno studio promosso da Aiget e I-Com l’introduzione del canone in bolletta potrebbe comportare costi aggiuntivi compresi tra il 13 e il 15% per il consumatore medio, che potrebbero arrivare fino al 26% nel caso di famiglie con consumi bassi (1500 kWh annui). Per lo Stato il bottino sarebbe sostanzioso. Il governo potrebbe incassare 600 milioni di gettito in più dalla doppia tassazione a cui si aggiungerebbero i circa 600 milioni di evasione stimata attualmente. Alla fine, tenendo conto dei circa 200 milioni persi con i 13 euro di sconto Viale Mazzini porterebbe a casa circa 2,8 miliardi rispetto agli 1,8 di oggi.
Per le associazioni dei consumatori, oltre al trucco c’è anche l’inganno. Secondo l’Unione nazionale dei consumatori «far pagare il canone in bolletta senza la modifica del Regio decreto del 1938 che lo ha introdotto è illegale». Non si può, ha aggiunto, far passare il principio «che chiunque detenga un contatore della luce debba pagare. In questo modo si inverte l’onere della prova costringendo il consumatore a dover dimostrare la propria innocenza». La norma è palesemente «incostituzionale» per Codacons, Adusbef e Federconsumatori, che hanno già annunciato una valanga di ricorsi.
La proposta ha ricevuto anche un fuoco di sbarramento dalle opposizioni. A partire dai grillini, infuriati, fino alla Lega di Matteo Salvini, che l’ha definita «la solita follia all’italiana dove Renzi punta ad incassare milioni di euro in più».

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