sabato 18 ottobre 2014

Renzi taglia la Lombardia e salva gli spreconi siciliani

Buoni e cattivi tutti dalla stessa parte della lavagna. Anzi, in alcuni casi i buoni finiscono dal lato dei cattivi e viceversa. È questo, secondo quasi tutti i governatori, compresi quelli «amici» delle regioni rosse, l’effetto perverso del taglio di 4 miliardi  previsto dalla legge di stabilità.
Il criterio della ripartizione dei sacrifici ancora non è noto. La bozza della manovra si limita a prevedere che il contributo delle autonomie locali andrà cercato «in ambiti di spesa e per importi complessivamente proposti in sede di autocoordinamento, dalle regioni con intesa sancita dalla conferenza permanente per i rapporti con lo Stato». In altre parole, le sforbiciate saranno autogestite fino al raggiungimento dell’importo richiesto. Purché le regioni trovino l’accordo entro l’anno. Dopodiché, interverrà il governo per decreto.

Malgrado la disposizione, però, tutti stanno già ragionando sulla logica dei tagli lineari. La stessa che, probabilmente, ha ispirato l’azione dell’esecutivo. La spesa delle Regioni ammonta, complessivamente, a 140 miliardi l’anno (110 miliardi per il 2014 per la sanità più 30 miliardi per gli altri servizi, dalla scuola agli ammortizzatori sociali al trasporto pubblico locale). «Il governo ha applicato il 3% alla somma totale», ha spiegato l’assessore al Bilancio della Toscana Vittorio Bugli, «che fa appunto 4 miliardi di tagli». L’asticella sale ancora se si calcolano le sforbiciate pregresse. Sempre secondo Bugli ai 4 miliardi previsti ora bisogna aggiungere il miliardo già calcolato per il 2015 dal governo Monti, i 750 milioni introdotti dal governo Letta e i 250 milioni in meno derivanti dalla riduzione di introiti dovuta alla diminuzione dell’Irap. Alla fine, il conto salirebbe dunque a 6 miliardi.

Una stangata che ha scatenato la furia dei governatori, a partire da quelli più virtuosi. I leghisti annunciano rivolte, ricorsi e ricadute catastrofiche sui cittadini. «Se la manovra venisse approvata così», ha tuonato il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, «taglierebbe alla Lombardia 930 milioni. Di questi, 730 milioni sono nella sanità e sono quelli contenuti nel Patto della Salute. Questo taglio indiscriminato a una Regione virtuosa avrebbe catastrofiche conseguenze quali la chiusura di almeno 10 ospedali, l’aumento dei ticket, l’aumento delle addizionali Irpef e Irap, lo stop a nuove opere e lo stop al finanziamento del Trasporto pubblico locale, inclusi i treni». Sul piede di guerra pure Luca Zaia. «Il ricorso contro la legge di stabilità lo faremo», ha promesso il governatore, «lo abbiamo fatto contro Berlusconi quattro anni fa quando ha messo 10 euro di ticket, figuriamoci se non lo facciamo contro una legge che vuole tagliare 400 milioni al Veneto».

In trincea ci sono anche gli amministratori del Pd. Il governatore della Toscana, Enrico Rossi, che conta di perdere tra i 300 e i 450 milioni, ha annunciato un superticket per i redditi più alti: «O chiediamo di dare di più a chi ha di più, oppure faremo tagli indifferenziati, che peggioreranno la qualità del servizio penalizzando i più deboli».
Ma tutti sono in allarme. Si parla di 400-600 milioni di tagli nel Lazio, 300-400 milioni in Emilia Romagna, 90 in Liguria solo per la sanità. Gli unici che sembrano tranquilli sono gli amministrati del Mezzogiorno. La Calabria pagherebbe 130 milioni, mentre per la Sicilia,  da molti additata come il regno degli sprechi e del dissesto finanziario, il conto sarebbe solo di 243 milioni. Soldi che gli uffici del bilancio ritengono di poter recuperare senza aumenti di tasse.

Tutt’altra l’aria che si respira in Piemonte (che calcola 450 milioni di tagli), dove il presidente dei governatori, il piddino e renziano Sergio Chiamparino, ha detto «basta tweet» e chiesto un incontro immediato con il governo: «Da Renzi andiamo con delle proposte concrete, che non toccano i quattro miliardi ma che li articolano in modo tale da consentire di reggerli. La soluzione, che è complessa, è fatta in parte di tagli in parte di rimodulazione di entrare. Ma bisogna incontrarsi ad un tavolo per discuterne, e parlarne con il ministero dell’Economia».
Il premier, per ora, non arretra di un millimetro. «Stiamo restituendo», ha detto, «ciò che la gente ha diritto di avere. È da 20 anni che pagano solo le famiglie e ora che paghino anche Comuni e Regioni».
Chiamparino è comunque ottimista: «Ho sentito al telefono il sottosegretario Delrio, non è stata fissata la data dell’incontro , ma mi pare che il messaggio sia arrivato».
Intanto la Uil si è fatta i conti di cosa accadrebbe se tutte le Regioni aumentassero l’addizionale Irpef al livello massimo: per i contribuenti ci sarebbe una bella stangata di oltre 95 euro medi a testa.

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