venerdì 3 ottobre 2014

Addio scontrini e ricevute, ma per tracciarci meglio

Un fisco amico, ma più occhiuto e, soprattutto, più salato. È questo, in estrema sintesi, lo scenario che si va prefigurando stando ai documenti diffusi nei giorni scorsi dal governo. Il primo punto riguarda il più volte annunciato da Matteo Renzi cambio di strategia nel contrasto all’evasione. Nel dossier presentato dal ministero dell’Economia al parlamento, accanto al progetto della dichiarazione dei redditi precompilata, si dice chiaramente che lo strumento principe per stanare gli evasori sarà il potenziamento dei pagamenti tracciabili.

Due facce della stessa medaglia, secondo il governo, che attraverso la moneta elettronica conta di offrire servizi ai cittadini controllandone al tempo stesso ogni minimo movimento. In pratica, chi paga con carta di credito o bancomat in futuro potrà avere la dichiarazione precompilata su alcune importanti spese che danno diritto a sconti fiscali. E in prospettiva, si legge nel rapporto, «gli sviluppi sul fronte della tracciabilità potranno comportare l’abbandono di alcuni strumenti risultati inefficaci, come misuratori fiscali e le ricevute fiscali».

La logica è quella spesso illustrata dal premier. Basta coi blitz antievasori che tanto piacevano all’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Al posto degli sceriffi in strada, ci saranno invece tanti esperti informatici in grado di cacciare i furbetti comodamente seduti al proprio computer. Non è chiaro, però, quali siano le tempistiche. Il rischio, più che concreto, è che intanto si affileranno le armi del grande fratello fiscale dichiarando guerra al contante. Poi, quando tutti saranno schedati e controllati a puntino, forse (nel testo si legge «non nel breve termine») si procederà alle riforme che potrebbero semplificare la vita ad artigiani e piccoli imprenditori.
Più vicina nel tempo, purtroppo, ed ecco il secondo punto, è la pesantissima stangata fiscale che si abbatterà sugli italiani se il governo, come puntualmente accaduto in tutti gli anni che ci hanno preceduto, ha sbagliato i conti anche questa volta.

Per garantire all’Europa che gli impegni saranno rispettati, infatti, la nota di aggiornamento del Def annuncia l’inserimento nella legge di stabilità di una nuova durissima clausola di salvaguardia. Non si tratta di un’ipotesi buttata lì per sbaglio. Ma dell’argomento più forte sfoderato dal governo per ottenere il lasciapassare di Bruxelles. I dettagli della clausola sono infatti inseriti al secondo posto di una lista di 18 risposte alle raccomandazioni del Commissione Ue.
L’entità della cambiale è cospicua. Per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2017 il governo potrà aumentare l’Iva e le altre imposte indirette (leggi accise su tabacchi, alcol e carburanti) per 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018. In tutto un macigno da 51,6 miliardi di tasse aggiuntive. L’impatto devastante sull’economia italiana, stimato nello stesso Def, è di 0,7 punti di pil in meno a causa di una contrazione di consumi e investimenti dell’1,3%.
L’ipotesi ha già scatenato il panico tra gli imprenditori. Per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, si tratterebbe di «una resa alla crisi», mentre per Assopetroli «i carburanti hanno già dato, non sono il bancomat del governo». Le associazioni dei consumatori parlano di «follia allo stato puro».
D’altra parte, il governo continua ad annunciare progetti costosi. Ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, tanto perché siamo pieni di soldi, ha ventilato la possibilità di inserire nella manovra anche un «piano nazionale di lotta alla poverta».

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