domenica 17 agosto 2014

Fa ricorso nel 1974 ma la notifica arriva ora. Commerciante deve pagare 78 euro di Ilor

Quarant’anni secchi. È questo il tempo trascorso tra il primo accertamento per 78 euro di tasse non pagate e la cartella esattoriale da 808,17 euro recapitata lo scorso 2 luglio all’incredulo contribuente, ormai 81enne.  In barba alle indicazione del  direttore dell’Agenzia delle Entrate, Antonella Orlandi, che ha invitato gli ispettori a concentrare l’attenzione sugli ultimi anni e sugli scostamenti più rilevanti, il fisco non molla l’osso neanche quando si tratta di pochi euro ormai fossilizzati in ere geologiche precedenti.

Vittima dell’incredibile caso di bradipismo burocratico è Alberto Morselli, che all’epoca commerciava pneumatici nel Lazio e in Abruzzo. Dopo la laurea in Economia e un’esperienza alla Pirelli, nel 1965 Alberto, classe 1933, decide di mettersi in proprio con il fratello più grande Vittorio, avviando una piccola attività di vendita. Una decina di anni più tardi, nel 1974, i Morselli incappano in un accertamento del fisco per 78 euro di Ilor (una vecchia tassa locale poi sostituita dall’Irap) non pagata. Un errore? Difficile saperlo. Fatto sta che i due raccolgono tutta la documentazione necessaria attraverso il commercialista e presentano regolare ricorso. Dopodiché, il nulla. Gli anni passano, i fratelli Morselli si trasferiscono in campagna e si buttano sulla viticoltura, nel 1992 l’Ilor viene abolita, nel 2004 Vittorio passa a miglior vita e nel frattempo muore anche il commercialista. Del ricorso, però, nessuna traccia. Fino al maggio del 2013, quando Alberto riceve l’inattesa notifica. Dopo 39 anni il fisco gli chiede se vuole andare davanti alla commissione tributaria per avere finalmente giustizia.

Possibile? La storia ruota intorno ad un miscuglio di inottemperanze dell’amministrazione e di pasticci legislativi. Per decine di anni il ricorso giace nel cassetto di qualche funzionario senza che nessuno si preoccupi di fissare l’udienza. Nel frattempo, il decreto legislativo 546 del dicembre 1992 stabilisce che spetta al ricorrente l’onere di proporre l’istanza di trattazione. La palla, insomma, passa ad Alberto, il quale, però, non si avvede della modifica normativa e continua ad aspettare un segnale dal fisco. Ma dell’opportunità non si accorgono neanche gli ispettori, che mantengono la pratica ben sepolta. Nel 1998, intanto, scende in campo la Consulta, che dichiara incostituzionale il provvedimento nella «parte in cui non si prevede che il termine per l’istanza di trattazione decorra dalla data di ricezione dell’avviso dell’onere di proposizione dell’istanza stessa».
Chiedere di discutere il ricorso, dunque, spetta al contribuente, ma lo Stato deve avvertire dell’obbligo. Scadenze o prescrizioni, però, non ce ne sono. Così l’amministrazione lascia passare un’altra quindicina di anni prima di prendere carta e penna e scrivere ad Alberto. Tanto per essere sicuri che il contribuente getti la spugna senza combattere. Il nuovo commercialista, infatti, consiglia a Morselli di lasciar stare. E lui stesso ci confessa: «Non ricordo più neanche di cosa si tratti». Risultato: l’Agenzia delle Entrate vince per abbandono e nel febbraio del 2014 iscrive di nuovo a ruolo le somme, che nel frattempo sono lievitate, tra sanzioni e interessi, a 808,17 euro.

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