mercoledì 29 gennaio 2014

La Germania fa collezione delle migliori Pmi italiane

Una colonizzazione lenta e inesorabile. Un’erosione progressiva del tessuto produttivo italiano. Mentre tutti, dal governo fino ai sindacati, sono impegnati a difendere quelle poche bandiere rimaste a rappresentare il nostro sistema industriale, siano esse Telecom od Alitalia, c’è chi da mesi, per lo più inosservato, sta succhiando la linfa vitale del Paese a colpi di piccole acquisizioni e ristrutturazioni.

Lo shopping, manco a dirlo, parte dalla Germania, dove il mondo del Mittelstand (le nostre Pmi) non si è lasciato sfuggire l’occasione di prendere per il collo gli imprenditori italiani. Strozzate dalla recessione e, soprattutto, dalla mancanza di liquidità, per le piccole e medie imprese del nostro Paese spesso l’alternativa non si pone: o si vende, a poco prezzo, o si portano i libri in tribunale. E le Pmi tedesche ad acquistare non hanno problemi. Anche perché da loro le banche, grazie anche all’aiuto di quello Stato che ora si oppone alla vigilanza unica europea, non hanno problemi a finanziare le operazioni di conquista.
Il Financial Times ha parlato senza mezzi termini di «abbuffate transalpina» da parte del Mittelstand, spiegando che in questo modo le imprese tedesche «ottengono accesso al sapere tecnologico delle aziende italiane in difficoltà, spostando in alcuni casi i loro quartier generali» fuori dai nostri confini. Il direttore dell’istituto economico tedesco Diw, Marcel Fratzscher, sostiene che il Mittelstand punta soprattutto «sull’area in crisi, dove si possono aiutare le piccole e medie aziende che spesso faticano ad ottenere credito».

Ma la realtà è ben diversa. E l’aiuto non c’entra nulla. Le acquisizioni, scrive il quotidiano della City di Londra, «sono spesso descritte come accordi strategici, ma gli esperti del settore  spiegano che il linguaggio nasconde una serie di operazioni aggressive. In alcuni casi gli accordi sono strutturati in modo che il marketing e il management sono esportati fuori dall’Italia, spogliando l’azienda acquisita fino alle sue strutture produttive».
Il motivo è che le imprese tedesche non hanno alcun interesse a rimanere in Italia, dove le tasse sono alte, i fornitori non pagano e i consumi sono sottozero. Tutt’altro l’obiettivo del Mittelstand. Secondo Carlos Mack, di Lehel Invest Bayern, nel mirino non c’è il mercato italiano ma i suoi prodotti, che saranno poi venduti altrove. In questo modo si ottengono due vantaggi.

Da una parte si elimina all’origine la concorrenza. Dall’altra spostare la testa del business fuori dai confini italiani è la condizione necessaria per ottenere importanti sostegni finanziari. Secondo una ricerca citata dal Financial Times, infatti, le banche italiane, che non sborsano un euro per le nostre imprese, si trovano invece molto bene a lavorare con le filiali delle aziende tedesche sul nostro territorio. E il credito concesso, paradossalmente, viene utilizzato proprio per proteggersi dagli investimenti rischiosi nel nostro sistema industriale. In altre parole, i nostri istituti di credito si difendono dalle falle del sistema favorendo l’apertura di voragini ben più grandi e pericolose.
Il fenomeno, partito in sordina, sta assumendo proporzioni sempre più ampie. Le acquisizioni di Pmi da parte di imprese tedesche sono state 20 nel 2012 e 23 nel 2013. Gli esperti stimano un’altra abbuffata pure nel 2014. Previsione non difficile considerato il cattivo stato di salute della nostra economia e l’ulteriore stretta sul credito operata dalle banche nei mesi scorsi.

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