giovedì 26 aprile 2012

Pure Draghi scarica Monti. Troppe tasse, niente ripresa

Scricchiola l’asse dei due Mario. Si è parlato molto nei mesi scorsi, e non senza ragioni, della sponda europea offerta dall’ex numero uno di Bankitalia al governo guidato dall’ex rettore della Bocconi. Dai diktat al governo Berlusconi, alla accurata tempistica degli acquisti di bond italiani da parte della Bce durante le fasi più delicate della crisi, fino alle maxi-aste di liquidità che hanno permesso al premier di sbandierare il robusto calo dello spread dell’inizio dell’anno come l’effetto della credibilità delle sue riforme. Gli argomenti offerti ai sostenitori dell’esistenza di un asse Draghi-Monti sono stati abbondanti e circostanziati.

Ieri, però, mentre in tutta Europa si diffondeva la parola d’ordine della «crescita» come unico antidoto alla crisi, dal presidente della Bce è arrivata una doccia gelata per il professore italiano. Dopo il fiscal compact, ha spiegato Mario Draghi durante un audizione all’Europarlamento, «serve il growth compact». In altre parole, basta austerity. Adesso è il momento di accendere i motori e far ripartire l’economia attraverso un vero e proprio «patto per la crescita» europeo. Un problema per l’Italia del professore, che ha scaricato sul Paese una valanga di balzelli. E Draghi, risponendo alla domanda di un parlamentare italiano, lo dice fuori dai denti: «Un consolidamento fiscale attuato solo attraverso l’aumento delle tasse è sicuramente recessivo». Meglio sarebbe stato, ha aggiunto il presidente della Bce, tagliare le spese improduttive, ma nell’urgenza «è più facile aumentare le tasse». E dopo lo schiaffo sull’austerity, Draghi rincara la dose spiattellando in eurovisione il trucchetto delle aste di liqudità della Bce. Il numero uno dell’Eurotower ha ovviamente difeso le iniziative, sostenendo che senza i  massicci prestiti triennali a basso costo (tasso all’1%) offerti dalla banca europa si sarebbero avuto «crisi di finanziamento delle banche e crac degli istituti di credito».

Di sicuro, però, l’effetto principale è stato sullo spread. Prima del maxi-prestito, ha spiegato, «c’era un ritiro completo degli investitori esteri» dai titoli di Stato di alcuni Paesi. Mentre ora, ha ammesso, «le banche comprano i titoli di Stato nazionali», facendo quindi calare il differenziale tra Btp e Bund. Ma la misura, ha svelato Draghi, serviva solo a «guadagnare tempo» e adesso è un «elemento che va superato». Ed ecco spiegato il nuovo rialzo dello spread, segno che gli effetti salutari delle maxi-aste si stanno esaurendo. In altre parole, il «tempo» concesso dalla Bce all’Italia è scaduto. Ora, ha incalzato il presidente della Bce, i governi dovrebbero essere «più ambiziosi» nel perseguire riforme strutturali «che facilitino la crescita, l’avviamento di nuove aziende e l’occupazione». Quasi un richiamo alla famosa lettera all’Italia inviata lo scorso agosto a Roma dall’allora presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, che suggeriva innanzitutto misure strutturali «per accrescere il potenziale di crescita», a partire da liberalizzazioni, privatizzazioni e mercato del lavoro. E che insisteva sul bilancio in pareggio nel 2013, ma «principalmente attraverso tagli di spesa».

Insomma, servirebbe quella fase due annunciata da Monti e poi seppellita sotto una montagna di tasse e sotto i quotidiani appelli al rigore. Anche ieri il premier italiano, in controtendenza con i principali leader europei (anche quelli candidati come Holland) che non hanno perso tempo ad allinearsi, almeno a parole, con il presidente della Bce, ha fatto sapere che per uscire dalla crisi «non esistono facili vie o scorciatoie». «Il rigore porterà gradualmente a una crescita sostenibile e al lavoro», ha spiegato Monti, e l’Italia deve cambiare «alcuni modi di pensare e di vivere». Non è un caso che per trovare alleati l’ex rettore della Bocconi sia andato a bussare alla campionessa del rigore Angela Merkel. Ieri il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, ha reso noto a Berlino un incontro fra l'entourage della cancelliera Angela Merkel e quello di Mario Monti, avvenuto in settimana, per promuovere iniziative concrete per la crescita nel prossimo Consiglio europeo di giugno.
E mentre Monti insiste sull'asuterity, dall’Ocse arrivano i dati sul livello dei nostri stipendi e sul carico tributarioche pesa in busta paga. Inutile dire, che il salario medio italiano è al 23esimo posto su 43 Paesi. Mentre il cuneo fiscale medio è aumentato nel 2011 di 0,7 punti percentuali al 47,6%.

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