giovedì 5 aprile 2012

La stampa anglosassone abbandona Monti: solo tasse e recessione

Solo qualche settimana fa, secondo quanto si poteva leggere sulla prestigiosa copertina del Time, era considerato addirittura l’uomo in grado di salvare l’Europa. Ora, i suoi “amici” delle principali comunità finanziarie internazionali iniziano ad avere forti dubbi anche sulla possibilità che riesca a salvare l’Italia. Anzi, a giudicare dalle bordate arrivate negli ultimi giorni, l’opinione che si sta diffondendo è che le mosse di Mario Monti stiano facendo precipitare il Paese verso il baratro. Insistenti e crescenti sono le preoccupazioni del Financial Times, che dopo aver svelato martedì scorso un dossier europeo secondo cui l’Italia avrebbe bisogno di ulteriori misure fiscali per restare a galla, ieri ha rincarato la dose, spiegando non solo che a forza di tasse «la luna di miele» tra Monti e il Paese «è finita», ma che i rischi di un peggioramento della situazione sono dietro l’angolo.

L’analisi del quotidiano della City è impietosa. Il Financial definisce «la previsione del governo di un calo del pil dello 0,4% eccessivamente fiduciosa» e rivela che diversi «analisti» sono preoccupati del fatto che «gli investitori stranieri non stanno tornando ad acquistare titoli italiani». Il problema, continua il giornale londinese, è che «il brusco calo dei rendimenti», che tutti hanno festeggiato nelle scorse settimane, è dovuto principalmente «agli acquisiti delle banche, che hanno usato i prestiti a basso costo della Bce». Ma l’effetto, avverte l’Ft, è «probabilmente transitorio, mentre Roma è solo a circa un quarto della strada verso il rifinanziamento di 450 miliardi di debito». Sarà un caso, ma ieri lo spread tra Btp e Bund è tornato di nuovo sui livelli di guardia sfiorando i 360 punti.
Ancor più dura, se è possibile, l’analisi del Wall Street Journal, che ieri ha aperto l’edizione europea con un titolo a caratteri cubitali in cui si legge che «l’austerity italiana rappresenta una minaccia per l’economia». La tesi, che molti sostengono da tempo anche nel nostro Paese, è che le stangate di Monti stanno producendo effetti positivi sui conti pubblici, aiutando il taglio del deficit, «ma al contempo stanno provocando una contrazione dell’economia ancora più rapida».

Gli ultimi dati sulla produzione, scrive il quotidiano finanziario statunitense, «dimostrano come queste misure siano controproducenti». La sintesi è che i provvedimenti lacrime e sangue messi in campo da Monti rischiano il fallimento più completo. Ovvero che la stretta fiscale, oltre a bloccare la ripresa alla fine non produrrà neanche effetti positivi sui conti di Via XX Settembre. «Lo scenario che si sta scoprendo ora in Italia, Grecia e Spagna», spiega il Wall Street Journal, «lascerà i paesi problematici dell’eurozona con percentuali di debito ancora più alte anche se realizzano sforzi dolorosi per ridurlo». Una previsione molto simile a quella arrivata da Standard & Poor’s. A fine 2012 e all’inizio del prossimo anno, ha detto Jean-Michel Six, capo economista dell’agenzia, l’Europa potrebbe vedere segni di ripresa con una modesta crescita, ma alcuni paesi «in particolare Italia, Spagna e Portogallo, affronteranno probabilmente una vera recessione». Il meccanismo non è difficile da capire. «L’insieme delle misure che hanno aumentato le tasse sui redditi dei lavoratori, ma anche sui consumi e sulla proprietà», dice il WSJ, «avrà un effetto recessivo più pesante dei tagli alla spesa pubblica».
La situazione è talmente fosca che, dopo mesi di prese in giro e sberleffi, i quotidiani internazionali tornano anche a dare spazio alle osservazioni di Silvio Berlusconi. Secondo l’ex premier, si legge sul WSJ, «il previsto aumento di due punti percentuali dell’Iva, sarà una martellata per i consumi» e «molti imprenditori stanno pensando di trasferire l’attività all’estero». Che le cose non stiano andando come previsto sembra, del resto, averlo capito anche lo stesso Monti, che ieri si è prudentemente rimangiato il messaggio fatto arrivare dall’Asia qualche giorno fa: «Non ho mai detto che la crisi è finita».

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