martedì 25 ottobre 2011

Paura del fuggi-fuggi. Emma s’inchina a Marchionne

Nei giorni dello strappo gliele aveva cantate. «Le motivazioni della Fiat non stanno in piedi», aveva tuonato Emma Marcegaglia, esprimendo «disappunto» per la decisione del Lingotto di uscire da Viale dell’Astronomia. Assai diversa la scena offerta ieri, a poco più di venti giorni di distanza, agli industriali di Torino, condita da abbracci calorosi e dichiarazioni di affetto. «Non abbiamo mai litigato, il rapporto personale è ottimo come sempre», ha cinguettato la presidente Confindustria, aggiungendo frasi del tipo: «la Fiat è sulla sua strada e sa quello che deve fare»; «trovo molto chiaro e serio il percorso fatto da Sergio Marchionne»; «siamo uniti per migliorare il Paese».

Insomma il Lingotto fuori da Confindustria non sembra più un problema. O forse lo è al punto da suggerire alla Marcegaglia di gettarsi alle spalle il muro contro muro e cercare una ricomposizione. E non si tratta solo del pericolo di perdere ulteriori pezzi, che pure c’è dopo l’uscita dall’associazione di alcuni marchi storici del made in Italy. La preoccupazione riguarda soprattutto la gestione degli ultimi mesi di mandato e la corsa per la successione. Non è un caso che sulla possibilità di riportare la Fiat in Confindustria stia giocando la sua partita Alberto Bombassei, candidato che potrebbe dare filo da torcere a Giorgio Squinzi, legato a doppio filo alla Marcegaglia e finora in testa nei sondaggi. A complicare un altro po’ la vita della presidente ci ha pensato nei giorni scorsi il Corriere della Sera, con una serie di legnate in prima pagina da cui si è potuto intuire che il “partito” di Via Solferino non resterà alla finestra. Discesa in campo che potrebbe scombinare i piani della Marcegaglia con il coinvolgimento di soggetti che vanno dal Terzo Polo all’Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo fino agli ambienti romani di Luigi Abete e Aurelio Regina.

Anche per la Fiat, comunque, la situazione non è delle più semplici, stretta fra le richieste della Consob, l’assedio dei sindacati, le critiche della politica e i dati sulle vendite non proprio incoraggianti. Marchionne continua a difendersi dalle accuse sostenendo che «purtroppo in Italia, molti, a cominciare da una parte della politica, del sindacato e della stampa, non hanno capito, o meglio, non hanno voluto capire, la portata del cambiamento che è avvenuto in Fiat». Il manager ha poi promesso che manterrà i livelli occupazionali in Italia e si è detto sorpreso della richiesta del garante della Borsa, visto che la Fiat «è sempre stata della massima trasparenza con i mercati, le istituzioni e le parti sociali». Quando si è trattato di snocciolare i dati su Fabbrica Italia, però, il manager ha obiettato che «è impossibile precisare dettagli di investimento sito per sito» e che è «illogico fornire dettagli di previsioni pluriennali». Di sicuro c’è che, grazie alla Chrysler, il gruppo riuscirà a vendere quest’anno «circa 4,2 milioni di vetture, diventando il quinto costruttore di auto nel mondo». Il numero, ha spiegato Marchionne, «è destinato a salire a 5,9 milioni di unità nel 2014».
Sul fronte sindacale l’ad del Lingotto ha chiesto alle tute blu della Cgil di deporre le armi: «Non possiamo fare guerra continua, né continuare a rivotare fino a quando non vincerà la Fiom».
Quanto alla crisi italiana, «per accontentare tutti abbiamo sempre accettato compromessi e mediazioni». È questo atteggiamento, secondo Marchionne, «che continua a tenere il nostro Paese in posizione difensiva e imbarazzata verso il resto dell’Europa». Più diretta la Marcegaglia, secondo cui «è inaccettabile che Merkel e Sarkozy si permettano di fare risolini», pensino piuttosto a «prendere le grandi decisioni per salvare l’euro».

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