sabato 8 ottobre 2011

La Marcegaglia ha paura dell’esodo

Da una parte il disappunto, dall’altra il rispetto. L’analisi del clamoroso strappo della Fiat è arrivata, a bocce ferme, in una lettera inviata giovedì a tutti i presidenti del sistema confindustriale che somiglia molto ad un tentativo di serrare i ranghi. Nella missiva Emma Marcegaglia si sofferma sulle implicazioni e sul significato dell’addio del Lingotto, a partire dalla questione dei contratti. «Va rispettata sempre», scrive la presidente di Viale dell’Astronomia, «la scelta di ogni singola impresa di aderire o meno al nostro sistema di rappresentanza. Confindustria è e deve assolutamente rimanere una associazione volontaria di liberi imprenditori».

Detto questo, aggiunge la Marcegaglia, «non posso non esprimere il mio disappunto per le motivazioni che sono state addotte e che possono condurre alla conclusione che Confindustria non abbia lavorato in questi anni per modernizzare le relazioni industriali o, peggio ancora, che, malgrado ciò che è stato fatto, vi sia una qualche oggettiva convenienza a stare fuori dal nostro sistema». Anche sulla questione, di cui si è tanto discusso, della presunta contrapposizione tra l’accordo interconfederale del 28 giugno e le novità contenute nella manovra, Confindustria ha le idee chiare: «Stare dentro il sistema associativo non significa in alcun modo rinunciare a utilizzare gli strumenti legislativi che l'articolo 8 mette a disposizione delle imprese». Procedendo con la lettura, però, la replica alle motivazioni della Fiat lascia spazio a slogan e frasi ad effetto che suonano più come una chiamata alle armi che come una legittima autodifesa. Le turbolenze dentro l’associazione (compresa l’uscita delle Cartiere Pigna) e le tensioni per l’inizio delle grandi manovre per la successione iniziano evidentemente a farsi sentire. E la Marcegaglia si aggrappa anche alle suggestioni verbali per tentare di riprendere il controllo di un sistema in ebollizione. «Confindustria», si legge, «è la voce libera ed autonoma degli imprenditori». Ed in quanto tale «è uno strumento essenziale per dare forza alle imprese ed alla stessa democrazia italiana». Poi, come un generale al proprio esercito, la leader degli industriali invita i suoi «ad essere più che mai forti ed uniti per affrontare una grave crisi internazionale e per aiutare il nostro Paese ad uscirne a testa alta».

Mentre il presidente scalda gli animi, il toto candidati continua comunque ad impazzare. I nomi che circolano sono sempre gli stessi: da Alberto Bombassei a Gianfelice Rocca, da Giorgio Squinzi ad Aurelio Regina fino a Ivan Lo Bello. Ma ieri per il patron della Brembo, che aveva già tentato di scendere in campo nell’autunno del 2007 sul finire della presidenza Montezemolo e che ieri ha rotto gli indugi con un «spero di essere io quel candidato», è arrivata la prima investitura ufficiale. Bombassei, ha esordito a sorpresa Franco Bernabé, «è il candidato che esprime al meglio questa fase di vita di Confindustria». Pur dichiarandosi fuori dai giochi sulla successione, il presidente di Telecom ha continuato a tessere le lodi dell’imprenditore, sostenendo che «ha tutte le qualità necessarie per aspirare a ricoprire questo ruolo».
Tutti dovranno comunque fare i conti anche con Andrea Riello, nome finora restato in sordina, ma da ieri entrato in pista a tutti gli effetti con il sostegno delle potenti (in termini di voti) componenti territoriali del Nordest. Il direttivo di Confindustria Veneto ha infatti individuato nell’imprenditore veneziano la figura adatta a rappresentare una candidato proveniente dal territorio.


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