lunedì 31 ottobre 2011

Galassi: «Confapi non è Confindustria: qui l’unione fa la forza»

«Oltre alle querele per le gravi affermazioni sui nostri bilanci, che sono certificati e approvati da tutti gli organismi direttivi e di controllo, abbiamo già provveduto ad avviare una serie di provvedimenti disciplinari, perché nell’associazione esistono delle regole e vanno rispettate». La sensazione, a sentire il numero uno di Confapi, Paolo Galassi,  è che i presidenti territoriali che continuano ad annunciare scissioni e fughe, possano essere sbattuti fuori ancor prima di riuscire ad andarsene. Ma il presidente nazionale dell’associazione che rappresenta circa 60mila imprese non ci sta a parlare di rottura. «La settimana scorsa abbiamo approvato il bilancio con l’86% dei voti, la realtà è che le territoriali in protesta rappresentano solo 3-4 mila imprenditori su 120 mila iscritti e che molti associati non sono neanche a conoscenza delle manovre dei loro presidenti».

Eppure le 12 associazioni dissidenti (Cremona, Bergamo, Como, Lecco, Mantova, Varese, Modena, Reggio Emilia, Padova, Venezia, Verona e Vicenza) che si sono già riunite in una Fondazione hanno annunciato che convocheranno le assemblee per ufficializzare l’uscita da Confapi. Non crede che facciano sul serio?
«Nessuno è obbligato a restare nell’associazione, ma le uscite devono essere individuali. Una Fondazione noi ce l’abbiamo già. L’organizzazione territoriale può solo decidere di sciogliersi, non di andare da un’altra parte, e non credo che una consultazione porterà a quel risultato. Noi non siamo come Confindustria, dove una grande azienda può sbattere la porta. Le piccole e le microimprese senza la forza dei numeri associativi, che garantiscono contratti nazionali e agevolazioni economiche, non possono sopravvivere da sole  Sono convinto che a polemizzare siano più i vertici che la base».
Nelle scorse settimane, riferendosi in particolare a Paolo Agnelli, presidente di Api Bergamo e capofila del dissenso, ha parlato di ambizioni personali. Significa che stanno cercando di farla fuori?
«Ribadisco che non vedo altri motivi se non quelli personali. Ma se queste iniziative mirano alla mia sostituzione sono inutili, perché il mio secondo mandato scade tra un anno e non sarà rinnovabile. Quindi basta aspettare qualche mese, presentare un programma e candidarsi».
La accusano di essere rimasto fuori dai giochi con il mancato ingresso in Rete Imprese. Non crede che sarebbe stata un’occasione per aumentare la potenza di fuoco delle vostre richieste?
«Guardi, mi dispiace ammetterlo, ma alla fine non abbiamo ottenuto nulla noi e non hanno ottenuto nulla loro. Non penso che entrare in un gruppo di sigle dove non si capisce chi decide e quali siano le posizioni comuni avrebbe permesso a Confapi di difendere meglio le piccole e medie imprese. La realtà è che gli interventi dei governi negli ultimi anni non hanno riguardato il vero tessuto economico italiano e che le Pmi dallo Stato hanno ricevuto solo tasse».
Tra gli impegni presi da Silvio Berlusconi con la Ue, però, ci sono molte misure a favore delle imprese. Anche quelle di dimensioni minori…
«Il programma presentato dal governo a Bruxelles è il mio sogno. Il timore, però, è che resterà tale. Di tante riforme annunciate, anche dai governi precedenti, ne ho viste troppo poche realizzarsi per essere ottimista».

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