venerdì 7 ottobre 2011

Addio banda larga. Le big delle tlc archiviano il tavolo Romani e spingono 3 fuori dal mercato


Nancy Kroes si è sgolata anche ieri da Bruxelles per chiedere un’accelerazione sulla rete di nuova generazione attraverso la progressiva riduzione dei prezzi di accesso alla rete in rame e la previsione di progetti di switch-off che garantirebbero un cospiscuo ritorno degli investimenti. Ma proprio mentre il commissario Ue per l’Agenda digitale parlava, da Capri, nel corso di una kermesse organizzata da Between, i principali operatori telefonici italiani piazzavano una bella pietra tombale sulla Ngn (next generation network), archiviando senza troppi problemi tutto il percorso fatto prima dell’estate con il tavolo Romani e bocciando l’ipotesi di far confluire le risorse dell’asta delle frequenze (circa 800 milioni) alla cosiddetta società della rete.

A gelare le speranze dell’Italia di fare qualche passo in avanti sulla banda ultra larga ci pensa soprattutto Telecom, azienda intorno a cui ruota tutto il progetto, sia sotto il profilo economico sia sotto quello infrastrutturale, visto che è l’attuale proprietaria della rete in rame. L’assaggio era arrivato in mattinata dalla dichiarazioni di Franco Bernabé al Sole 24 Ore. Sulla Ngn, ha detto il presidente di Telecom, «non sono stati fatti grandi passi avanti. Il governo dovrebbe decidere di utilizzare questi proventi per colmare il digital divide nei distretti industriali». Ancora più netta la posizione espressa da Capri da Marco Patuano, ad della stessa società, secondo il quale «una società delle rete già esiste e si chiama Infratel». Ovvero quella creata dal governo proprio per colmare il digital divide in Italia. L’idea di mettere tutto nel cassetto non sembra dispiacere neanche all’ad di Wind, Ossama Bessada, secondo cui i proventi dell’asta «sono arrivati dalla telefonia mobile e devono tornare alla telefonia mobile», magari sotto forma di «incentivi alla domanda e benefici fiscali per gli operatori».

La realtà è che i riflettori, più che sulla problematica e costosa infrastruttura fissa, sono tutti puntati su quella mobile, dove i ricavi che arrivano dal traffico dati iniziano a farsi sempre più interessanti. È da li, probabilmente, che nei prossimi mesi arriveranno le vere novità. A partire da un consolidamento del settore. Wind scalpita sulle acquisizioni da quando la società è entrata nell’impero russo di Vimpelcom e Bessada si è insediato nel quartier generale. L’asta delle frequenze, dove Telecom, Vodafone e Wind si sono aggiudicati le frequenze migliori da 800 Mhz sembra aver certificato la lista degli operatori che si spartiranno il mercato italiano. Con 3 Italia, rimasta a bocca quasi asciutta sulle frequenze, che sembra ormai destinata a giocare il ruolo della preda. «In Italia non c’è più posto per quattro operatori», ha esordito Bernabé nell’intervista. A ruota, dal convegno di Capri, Bessada: «Sono totalmente d’accordo. Questo era vero prima e lo è ancor di più dopo quello che successo sulle frequenze». Nessuno, però, vuole scoprire le carte. Razionalizzazione del mercato non significa che Telecom sia intenzionata a comprarsi 3, ha frenato Bernabé. Contatti ci sono stati, ha spiegato Bessada, «ma ora non sono in corso trattative». Qualcuno, vista la situazione, non esclude uno spezzatino. È già successo per Blu.


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