lunedì 7 marzo 2011

L'Italia nicchia sulle quote di Gheddafi. "Aspettiamo l'Europa"

La prudenza, come ha detto venerdì lo stesso Silvio Berlusconi, resta ed è massima. Ma l’ipotesi di un congelamento delle quote di Gheddafi nelle società italiane diventa sempre più concreta. «L’Italia aderirà a tutti i tipi e le categorie di sanzioni decisi dall’Onu e dall’Ue», ha detto ieri Franco Frattini, comprese quelle «sulle partecipazioni azionarie».

Le parole pronunciate dal ministro degli Esteri da Istanbul sono chiare. L’Italia è pronta a congelare il pacchetto di oltre 3 miliardi che i fondi sovrani libici detengono in Italia attraverso quote di Unicredit (7,5%), Finmeccanica (2%), Eni (1%), Juventus (7,5%). Ma nessuna iniziativa sarà presa singolarmente dal nostro Paese. Per ora, dunque, tutto resta com’è. Finora infatti, ha spiegato Frattini, «le sanzioni sulla libia riguardano le persone, non le entità». Il punto è lo stesso su cui si era già soffermato il premier venerdì. «Occorre distinguere bene», aveva detto Berlusconi, «sulle partecipazioni della Libia in quanto popolo libico e le partecipazioni che invece sono attinenti ad una famiglia».

Ed identico sembra essere il terreno su cui si sta muovendo il Comitato di sicurezza finanziaria che si è riunito ieri mattina a Via XX Settembre. «Verificare la corretta applicazione in Italia delle sanzioni decise dalla Ue»: questo il tema all’ordine del giorno del vertice presieduto dal direttore generale del tesoro, Vittorio Grilli. In particolare, l’obiettivo dell’organismo formato da rappresentanti dei ministeri dell’Economia, dell’Interno, della Giustizia, degli Esteri, oltre che di Bankitalia, Consob e Isvap, è quello di valutare l’applicazione fedele della decisione adottata dall’Ue «il 28 febbraio e resa operativa nel nostro Paese con il Regolamento 204 del 2 marzo scorso, nel quale vengono indicati i nominativi delle persone per le quali sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati». In altre parole, il compito del Comitato sarebbe di verificare che le eventuali proprietà che fanno capo direttamente ad esponenti della famiglia Gheddafi e ad un pugno di fedelissimi (in tutto la blacklist è di 26 nomi) non siano nella disponibilità del raìs.
È chiaro che il problema è ben altro. Lo sanno bene in Gran Bretagna, dove senza pensarci troppo hanno inserito la Libyan Investment Authority (Lia), fondo sovrano dello Stato libico, nei soggetti direttamente controllati dal colonnello e hanno così congelato il 3,27% detenuto nel gruppo Pearson, che edita il Financial Times. La Lia, inutile dirlo, è lo stesso fondo che, insieme alla Banca centrale libica, controlla tutte le azioni possedute in Italia.

La questione non è da prendere alla leggera. Congelare le quote significa non solo bloccare i diritti di voto in assemblea, ma anche i dividendi, a poche settimane dal loro pagamento. Un’azione che, se non messa in atto con tutti gli accorgimenti possibili, rischierebbe di mettere in allarme gli ingenti investimenti fatti nel nostro Paese anche dagli altri fondi sovrani. D’altra parte, un’eccessiva cautela potrebbe esporci alle critiche internazionali. Ieri un lungo articolo del New York Times sottolineava che l’Italia, a differenza di altri, «si è trattenuta dal congelare qualsiasi attività», dicendo «di aspettare una risposta coordinata dalla Ue».  Di questo, principalmente, si sta occupando il Comitato. Di fare in modo che sia ben chiara la disponibilità dell’Italia ad agire con tempestività, ma solo dietro il benestare ufficiale delle autorità europee. Compito dell’organismo nei prossimi giorni sarà infatti «quello di assicurare il costante monitoraggio della situazione e di predisporre l’immediata ed efficace applicazione di eventuali nuove decisioni della Ue». Decisioni che potrebbero arrivare al prossimo Consiglio Ue degli Affari esteri, previsto per il 21 marzo, o in una sua riunione formale straordinaria che potrebbe avere luogo anche prima. 

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