giovedì 31 marzo 2011

Le chiacchiere dei sindacati ci costano 15 milioni

Riunioni, assemblee, direttivi, manifestazioni, dibattiti. La vita del sindacalista è dura e faticosa. Sempre a correre su e giù, dalla mattina alla sera. E il tempo non basta mai. O meglio, non basta quello previsto dagli accordi, che per i dipendenti pubblici fino al 2009 ammontava a 475mila ore l’anno complessive da distribuire fra tutte le sigle. Troppo poco per fare tutto. Così, un’ora qua, un’ora là, i permessi si accumulano, fino a sforare i tetti stabiliti. Non di una manciata di minuti, come si potrebbe pensare, ma di centinaia di migliaia di ore.

 Nel 2007 si parlato di 300mila. E cifre simili sono state conteggiate anche nel 2008 e nel 2009. Ore di lavoro perse, che i tecnici del ministero della Funzione pubblica, sulla base dei dati forniti dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali, si sono presi la briga di calcolare e di trasformare in euro. Già, perché se il sindacalista invece di andare al Comune o in ospedale o a scuola a lavorare è ad un convegno o ad una riunione interna, viene pagato lo stesso. E se quell’ora di permesso non rientra nel tetto stabilito, significa che la quota di retribuzione finisce dritta dritta sul groppone dei contribuenti, che pagano le tasse per non avere nulla in cambio.
Non si tratta di bruscolini. Nel 2007 lo sforamento delle ore di permesso equivaleva a circa 6 milioni di euro. Di lì al 2009 la musica non è cambiata e i milioni sono diventati 15. Extracosti che si vanno ad aggiungere alle centinaia di milioni che lo Stato già spende per pagare i permessi e i distacchi sindacali retribuiti sulla base degli accordi contrattuali.

La ripartizione delle ore aggiuntive rispecchia le dimensioni delle varie sigle. La Cgil avrebbe un’esposizione di circa 6 milioni, la Cisl si attesterebbe a 5, mentre la Uil avrebbe utilizzato “solo” 3,5 milioni non spettanti. Il punto è: come rientrare in possesso del maltolto? La questione non è semplice, ma Renato Brunetta è intenzionato a venirne a capo, in qualche modo. Anche a costo di far pagare i sindacati.
La strada più logica, che il ministro ha intrapreso la scorsa estate con un atto di indirizzo, ascoltati i pareri dei Comuni, delle Regioni e del ministero dell’Economia, è quella di una sorta di permuta. Ore in cambio di ore. I sindacati si impegnano a compensare le ore di permessi extra del passato riducendo quelli dei prossimi anni. Magari attraverso una dilazione che non può, però, oltrepassare il limite massimo dei cinque anni, che rischierebbe di far scattare la prescrizione prevista in questi casi di 10 anni.

La linea su cui si sta muovendo l’Aran, incaricata dal ministro di condurre la trattativa, è quella di chiudere la pratica in tre anni. Resta da vedere cosa ne pensano i sindacati, che dovrebbero incontrarsi con il commissario straordinario, Antonio Naddeo, già la prossima settimana. In caso di disaccordo, si aprirà la strada più complicata. Ovvero quella di chiedere alle amministrazioni coinvolte (che di fatto hanno concesso i permessi che) di sbrigarsela da sole e recuperare direttamente ore o soldi dai sindacati. L’ipotesi potrebbe portare ad uno scenario poco piacevole. Se le amministrazioni non provvederanno a sanare la vicenda, la Funzione pubblica sarebbe costretta a chiamare in causa la Corte dei Conti, che a quel punto potrebbe anche decidere di procedere per danno erariale. L’unica consolazione, per ora, è che il fenomeno sembra destinato a non replicarsi. Una maggiore severità nei controlli unità ad una organizzazione più efficace dei sindacati avrebbe consentito nel 2010, malgrado una riduzione operata da Brunetta del 15%, di mantenere il monte ore entro i tetti previsti. 

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