sabato 16 gennaio 2010

L’ira di Sacconi su Draghi: «Bankitalia come la Cgil»

Galeotto fu il bollettino. Non è la prima volta che le statistiche di Bankitalia irritano il governo. Fino ad ora, però, il duello era rimasto circoscritto al ministro dell’Economia, Tremonti.
Questa volta ad infuriarsi è Maurizio Sacconi, che non ha digerito i dati sulla disoccupazione. Nulla di falso, intendiamoci. Così come accaduto con Tremonti, a scontentare è la prospettiva, il metodo di calcolo.
In questo caso la percentuale incriminata è un 10,2% a cui, secondo l’ufficio studi di Bankitalia, ammonterebbe la quota di lavoro inutilizzato nel secondo trimestre 2009. Alla cifra si arriva sommando alla disoccupazione ordinaria i lavoratori in cassa integrazione e i cosiddetti “scoraggiati”, ovvero chi ha smesso di cercare un’occupazione. In questo modo, al 7,4% certificato dall’Istat si aggiunge l’1,2% di Cig e l’1,6% attribuibile al fenomeno dello scoraggiamento. Ed ecco che nel terzo trimestre 2009, si legge nel bollettino economico di Via Nazionale, «il tasso di disoccupazione corretto sarebbe stato pari al 10,2% anziché al 7,4%». La cifra non è sfuggita alle agenzie di stampa e ai sindacati, che hanno immediatamente cavalcato la notizia.
Apriti cielo. Sacconi è balzato sulla sedia è ha subito puntato il dito contro il governatore. «Sommare i disoccupati veri e propri con i cassintegrati (che sono e restano legati alle rispettive aziende da un rapporto di lavoro solo temporaneamente sospeso)», tuona il ministro del Welfare, «e addirittura con i cosiddetti scoraggiati è un’operazione scientificamente scorretta e senza confronto con gli altri Paesi ove ci si attiene all’autorità statistica». Non solo: «Significa negare quell’effetto della politica di governo, concertata con le parti sociali, per cui in una crisi globale della domanda si è voluta conservare la base produttiva e occupazionale, attraverso la cassa integrazione e i contratti di solidarietà, rispetto a possibili processi di deindustrializzazione o frettolose espulsioni della manodopera». Scelte, prosegue, «che lo stesso governatore della Banca d’Italia ha apprezzato in più occasioni». Durissima la conclusione: «Porre una questione così artificiosa alimenta solo la sfiducia, l’incertezza e la confusione nel momento in cui è essenziale garantire la corretta percezione della crisi a partire da quella sociale». Non è un caso, secondo il ministro, che gli unici ad utilizzare questo metodo siano «il servizio studi di Bankitalia e la Cgil».
In effetti, come spiega lo stesso bollettino di Via Nazionale, «sulla base di criteri armonizzati a livello internazionale dall’International Labour Organization (Ilo) si considera disoccupato chi è senza lavoro, è alla ricerca di un impiego, è immediatamente disponibile a lavorare e ha compiuto un’azione di ricerca durante il mese precedente il momento della rilevazione». Ma la cassa integrazione e i lavoratori scoraggiati sono entrati già da qualche tempo a far parte delle analisi sull’occupazione. E non sono solo i sindacati ad utilizzare i nuovi parametri, ma pure le imprese, che in teoria non hanno molti interessi a gonfiare il peso dei disoccupati.
Anche Confindustria, infatti, nell’ultimo Report del Centro studi presentato a dicembre aveva legato la previsione della disoccupazione per il 2010-211 alla percentuale di riassorbimento dei lavoratori dalla Cassa integrazione: i posti di lavoro persi tra il 2008 ed il 2010, infatti, ammonterebbero a 665mila nel caso in cui il 70% dei lavoratori in Cig rientrassero in azienda. Un dato che la crisi ecomica potrebbe aggiornare diversamente: se la percentuale di assorbimento scendesse infatti al 40%, dicevano gli economisti di Confindustria, i posti di lavoro a rischio tra il 2008 ed il 2010 salirebbero a 700 mila con altri 70 mila nel 2011.
Una cosa è certa. Scientifico o meno, ora quel dato di 2,6 milioni di senza lavoro messo sul piatto da Bankitalia col calcolo allargato sarà al centro del dibattito dei prossimi mesi.

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