giovedì 7 gennaio 2010

La nuova previdenza per il pubblico impiego blocca 3.500 donne

Saranno 3.500 le prime “vittime” della riforma delle pensioni nel pubblico impiego. La legge è stata imposta dall’Europa e risponde a un principio di equità nei trattamenti previdenziali tra uomini e donne. Non solo, è anche dettata dall’esigenza di tenere in piedi l’intero sistema attraverso un progressivo innalzamento dell’età pensionabile che permetta di compensare i maggiori costi dovuti all’aumento della longevità della popolazione. Ma alle statali che dovranno restare un anno in più dietro la scrivania non farà sicuramente piacere. Nel 2010 erano pronte a fare gli scatoloni in 6mila. Donne della Pa che in base alla vecchia normativa avrebbero lasciato il lavoro per il raggiungimento dei requisiti di vecchiaia, ovvero 60 anni di età. L’entrata in vigore della riforma, secondo i calcoli aggiornati dall’Inpdap, ne ha però bloccate 3.500. Da quest’anno infatti è scattato il primo scalino biennale che porterà nel 2018 al limite di 65 anni sia per gli uomini sia per le donne. In altre parole, per il 2010 e il 2011 gli anni necessari per accedere al trattamento previdenziale sono 61. Riusciranno ugualmente ad andare in pensione solo le lavoratrici che entro il dicembre 2009 hanno compiuto 60 anni e possiedono 20 anni di contributi.
Il sacrificio avrà effetti tangibili sulle casse dell’Inpdap. Secondo le simulazioni effettuate dall’istituto di previdenza la nuova normativa inserite nel decreto anti-crisi approvato prima della pausa estiva porterà ad un risparmio complessivo di 2,5 miliardi. Risorse che andranno in un fondo istituito presso la Presidenza del Consiglio per interventi sulle politiche sociali e familiari. In particolare, il governo punta a finanziare asili nido per la cura dei bambini o l’assistenza agli anziani non autosufficienti, a cui le donne spesso devono far fronte con effetti negativi sulla carriera.
Ma le donne della pubblica amministrazione non saranno le uniche a dover combattere con le nuove norme pensionistiche. Anche i dipendenti del privato e gli autonomi dovranno fare i conti con gli scalini e le finestre previste dalla riforma con cui Prodi ha riscritto la legge Maroni. Per le pensioni di vecchiaia, ad esempio, le quattro finestre previste nel corso dell’anno possono essere utilizzate solo se i requisiti sono stati raggiunti nel trimestre precedente. Vale a dire che a gennaio potranno andare in pensione solo gli uomini che hanno compiuto i 65 anni entro lo scorso settembre, gli altri dovranno aspettare fino ad aprile. Chi vuole usufruire della pensione di anzianità, invece, dovrà vedersela con le cosiddette quote. Per tutto il 2010 i lavoratori dipendenti potranno andare in pensione con quota 95 (59 anni di età e 36 di contributi o 60 e 35). Considerato che la finestra in questo caso è semestrale la prima uscita utile è a luglio. Dovranno pazientare un po’ di più gli autonomi. Per l’anno in corso la loro quota è 96 e la finestra utile scattera solo dal gennaio 2011.

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