venerdì 8 gennaio 2010

I finiani con il Cavaliere nel partito taglia-tasse

Il taglio può attendere. Mettere ordine nel sistema fiscale italiano è una necessità ma per raggiungere l’obiettivo serve «un grande consenso e una grande prudenza». Il copione si ripete. Come dopo l’annuncio di Silvio Berlusconi sulla riduzione dell’Irap, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, all’indomani delle parole del Cavaliere sul taglio delle tasse, torna a fissare i paletti e a bloccare le fughe in avanti. Il fisco più snello è un’ambizione che sicuramente rientra nel programma di governo, ma che potrà essere soddisfatta nei tempi medio-lunghi della legislatura. Stesso concetto arriva anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, che parla «di tempi giusti e momenti giusti» e sottolinea: «Riformare non vuol dire tagliare».
Il fisco divide
Il dibattito, insomma, si riapre. E presto rispunteranno anche le spaccature già viste nel corso della Finanziaria, con il gruppo degli ex An vicini al presidente della Camera schierato nettamente a sostegno di una riduzione della pressione fiscale, soprattutto attraverso le proposte dell’economista Mario Baldassarri, e i “forzisti” piazzati invece a difesa della sostenibilità dei conti pubblici e della insostenibilità di una diminuzione del gettito.
Ma le divisioni non sono così nette. A favore della possibilità di procedere ad una sforbiciata delle imposte, oltre ai liberisti storici come Antonio Martino, si erano espressi, seppur con moderazione, anche alcuni fedelissimi del Cavaliere come Maurizio Gasparri e Claudio Scajola. Diverse poi sono state le richieste di un cambio di passo anche sul fisco da parte di Renato Brunetta e numerosi, per quanto più di bandiera che sostanziali, gli interventi di esponenti leghisti per sostenere la necessità di alleggerire il peso delle imposte su piccole imprese e partite Iva. A rappresentare l’ala finiano-riformista del Pdl ci ha pensato ieri Benedetto Della Vedova. «L’Italia non ha solo bisogno di una riforma del sistema fiscale, ma innanzitutto», ha spiegato il deputato del Pdl, «di una minore pressione fiscale. Non si tratta di fare rivoluzioni o fughe in avanti, ma di iniziare a tagliare le tasse e la spesa pubblica».
Al momento però, si insiste in ambienti di governo, i conti non consentono margini di azione particolarmente ampi. E, a partire dai decreti legge all’esame del Parlamento, le novità che comportano voci di spesa avranno vita difficile.
Irap e cedolare
Un confronto, anche se accademico, sulla riforma del fisco dovrebbe comunque partire. Perlomeno per delimitare le aree di intervento e stabilire una tabella di marcia. La base è sicuramente il «Libro Bianco» del 1994, i temi sul tappeto quelli già emersi negli ultimi mesi. Dall’Irap al quoziente famigliare, dalla cedolare per gli affitti agli aiuti per la ricerca. Sull’imposta regionale a carico delle imprese l’obiettivo è quello di una progressiva abolizione. Ma il gettito, che sfiora i 40 miliardi l’anno e finanzia la sanità, rende difficile l’operazione. Tante le ipotesi in campo: esenzione dell’imposta sulle perdite, innalzamento della franchigia fino a 15.000 euro, deduzione anche parziale del costo del lavoro. Per le famiglie Tremonti ha detto chiaramente di ritenere superato il sistema del “quoziente”, che pure è nel programma di governo. Più efficace, secondo il ministro, sarebbe una rimodulazione delle detrazioni per i figli.
C’è poi la questione della cedolare secca al 20% sugli affitti. La misura, invocatissima durante la Finanziaria, è stata introdotta in via sperimentale soltanto all'Aquila. Un ulteriore passo potrebbe essere l’ampliamento della misura ai contratti concordati. Altro tema sul tavolo è quello relativo alla tassazione delle persone fisiche. Il primo nodo da sciogliere è senza dubbio l’eccessivo carico fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati. Ma obiettivo della riforma dovrà necessariamente essere anche la semplificazione del sistema delle aliquote. Questione che il centrodestra aveva cavalcato in passato, ma che la crisi ha costretto a rimettere nel cassetto.
Tremonti non ha fretta, ma la questione, spiega Della Vedova, «non potrà essere accantonata a lungo, senza pregiudicare il dinamismo economico di un Paese, che, negli ultimi anni, quando è cresciuto, lo ha fatto in misura inferiore a quella dei concorrenti europei, perché gravato da un mercato del lavoro disuguale, da un welfare inefficiente e da un potentissimo disincentivo fiscale al lavoro e all’investimento produttivo».

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